Certe cose le trovi solo qui. I beghinaggi, ad esempio. Erano, più o meno, come conventi femminili dove donne sole si rifugiavano per sfuggire alle sgarbate invadenze del mondo. Detto così può sembrare poca cosa: ma se l’Unesco li ha premiati come Patrimonio dell’Umanità un motivo ci deve essere. E mezz’ora nel silenzio di queste bomboniere di case a graticcio ti guarisce da qualunque spleen. I canali poi: certo, quelli li abbiamo anche noi in Italia. Ma sono diversi ed è facile capirlo durante un viaggio nelle Fiandre. I nostri si specchiano nel sole, paiono strade d’acqua che promettono un sempre prossimo e possibile viaggio. Qui a Ghent, invece, sono color di acciaio brunito. E sembrano immoti come se dai tempi dei mercanti di lana stessero aspettando. Quasi che fossero più materia di storia che di geografia.
Viaggio nelle Fiandre tra arte e storia
Gli artisti poi: il Rinascimento, lo sappiamo, è nostro. Ma senza van Eyck o Rubens la storia dell’arte sarebbe più povera. E della sindrome di Stendhal non ci si ammala solo a Firenze. Insomma, le Fiandre possono guardarci negli occhi senza timidezze. Ma su questa regione, grande più o meno un decimo dell’Italia, aleggia per molti ancora una domanda: «Perché andarci?Perchè partire per un viaggio nelle Fiandre?» Il quesito è uno, semplice. Le risposte molte. E complesse. Ad esempio, per cominciare a comprendere che il Medioevo non è per forza sinonimo di periodo oscuro. Basta sedersi in un bar nel Markt di Bruges per capire che qui, in questa piazza dove le case delle ghilde sono leziose come i pizzi delle beghine, per secoli si sono fatti più affari che nella strepitante Borsa di New York. La differenza è che a Wall Street suona una stridula campanella. Qui rimbomba ancora il tuono del bronzo che precipita dagli 83 metri del campanile Belfort. A Bruges, già nel 1300, astuti mercanti genovesi e veneziani impararono dai fiamminghi le malizie dell’export. E, grazie ai loro accordi, l’Europa si scoprì anzitempo un mercato unico. Le multinazionali, si può dire, sono nate in queste sale.
Città ricche allora. Dove la storia, unita al denaro, ha figliato bellezza. La riprova è nei palazzi, nelle piazze. Si può dire nelle pietre. A Bruges, di sicuro. Ma anche a Mechelem, a Lovanio, a Ghent o nel centro di Anversa. Centri storici di case medievali e facciate a scaloni vezzosamente sghembe. Spesso, all’improvviso dietro un angolo, spunta un canale o una casa avviluppata nell’edera. I cigni, inconsapevoli, fanno la loro parte per rendere il tutto più struggente. E se persino uno specchio d’acqua che fu porto mercantile si pavoneggia del soprannome di lago dell’Amore è facile capire che è inutile provare a resistere. E tanto vale cedere alla malìa del luogo.
Ma sia chiaro: le case sono del 1400. La vita che le abita è proiettata al domani. E la sera fare tardi bevendo trapiste, la birra più buona al mondo prodotta ancora oggi dai monaci, è sport nazionale. Quasi quanto discutere dove si mangiano le patate fritte migliori. Ecco perché occorre sapere due cose: per un viaggio nelle Fiandre è meglio lasciar perdere l’auto. E prepararsi a cedere a parecchie sorprese. Le quattro ruote non servono perché il treno è assai più comodo per spostarsi tra una città e l’altra e anche la capitale Bruxelles è vicina: e i vicoli medievali dei centri hanno un cattivo rapporto con le ipertrofie dei moderni suv. Mentre le sorprese sono quelle che aspettano gironzolando senza meta negli stessi vicoli. Dove la sosta nell’abside di una chiesa vale spesso tanto quella nel sala sul retro di un caffè avvolto nei legni.
E’ ovvio, certi capolavori sono imperdibili: di fronte al polittico di van Eyck nella cattedrale di San Bavone si precipita ancor oggi nello smarrimento dell’uomo gotico. O al museo Plantin Moretus di Anversa: alle stampe impresse qui anche i nostri più grandi artisti hanno detto grazie. Ma poi altrettanto sorprendenti sono esperienze in apparenza più quotidiane: come camminare lungo i canali di Ghent dopo il tramonto. Sotto quei giochi di luci sull’acqua parrebbe normale vestire velluti e spronare un destriero. O la visita, sul Grote Markt di Ypres, al museo «In Flanders Fields» ospitato in quelli che furono il mercato delle stoffe e il Municipio. La Prima Guerra mondiale qui distrusse tutto: la conta dei morti di un secolo prima scorre senza sosta su uno schermo. I caduti sono tanti che il tempo del giorno quasi non basta. Ma il monito di quei lutti sembra lontano dall’esserci entrato in testa.
Forse però il vero segreto che si può scoprire durante un viaggio nelle Fiandre è che è possibile e bello mescolare tutto questo: musei e palazzi, birre e abbazie, canali e città. E poi lasciarsi confondere, cercando di ascoltare il canto sottile che filtra da quelle pietre. Come scrisse Jacques Brel, fiero figlio di questo piatto paese, solo qui «le cattedrali sono montagne, i diavoli in pietra agguantano le nuvole e il cielo è così basso che un canale si è impiccato. E anche il vento, sul grano, si sente cantare».
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