Si può mangiare anche ascoltando. Certo, di solito, piatti e sapori si pregustano con gli occhi, si assaggiano con il naso. E si assaporano, infine, spalancando le labbra. Ma a Palermo no: prima si ascoltano. E anche se le parole sono incomprensibili poco male. Sono già una promessa. Quasi certamente mantenuta. “Forse vi riferite alle abbanniate, le grida di chi vende nei mercati. Sono come il nostro marchio di fabbrica”, racconta stupendosi di dovere spiegare una tale ovvietà Carmelo, fiero pescivendolo di Ballarò. Tutto intorno a lui, oggi e da sempre, rimbomba una nenia strascinata che profuma di antico e di scirocco, una cantilena che mescola salmastro e fichi d’India, palazzi di baroni e mattoni scrostati, sogni e la fatica del campare. “Ed è un modo per attirare i clienti”. Non pubblicità, quella no. Quella è roba moderna, asettica, che cerca di convincere. Qui in ogni grido, piuttosto, c’è una storia nata e già finita, un’allusione. Appunto, un assaggio di un sapore, quel nonnulla che serve per capire cosa vedere a Palermo tra storia e gastronomia “Forse anche per questo non c’è luogo dove avvicinare di più i gusti di questa terra che nei mercati. Ed ecco perché la gente li frequenta e li ama tanto. Perché sono lo specchio della città”.

cosa vedere a Palermo tra storia e gastronomia

Cosa vedere a Palermo tra storia e gastronomia: mercati e quartieri

Uno specchio sicuramente un po’ ossidato ai bordi: la Vucciria, storico luogo di commerci diventato mito con un quadro di Guttuso e ora mesto reticolo di palazzi sfondati; Ballarò, oggi il più ricco e popoloso; il Capo, o quel che resta delle bancarelle di Borgo Vecchio. Ogni mercato è un quartiere, ogni quartiere un volto della città. Fusi insieme diventano la Palermo che ti sorprende, che non ti aspetti. Ma d’altra parte è giusto così, perché Palermo è una città strana, spesso vittima di luoghi comuni e figlia di molti padri e di ancora più madri. Un posto che miscela in sé l’anima greca e quella araba, ricercatezza e sorprese, l’agrodolce importato dalla Persia e le melanzane eredità dai saraceni, le olive delle piane tinte di verde e i capperi testardamente sbucati tra i muri a secco, i pomodori sfrontati che sanno di sole. Fateci caso: non ci sono però pesci. E non è un caso: che a Palermo c’è il mare. Ma questa città diffida delle onde. “E’ vero, arrivando la prima cosa che si nota è una montagna”, ammettono i palermitani che senza pensarci all’acqua quasi sempre volgono le spalle. “Il vero centro della città è un incrocio di palazzi barocchi e il lungomare quasi non si vede”.

Cosa vedere a Palermo tra storia e gastronomia: il mare che non si vede

Per il mare, la tintarella e l’ozio dell’estate si andrà a Mondello, tra sdraio, ristoranti leziosi e villette liberty. Per gustare il pesce a Sferacavallo, a riempirsi di trionfi di squame a prezzo fisso vicino ai gazebo. Il centro invece le onde le tiene lontane, le intravvede al massimo in fondo al telescopio di case di via Vittorio Emanuele. O allo sbocco di via Cassari: un passo indietro sei nella Vucciria, tra vicoli e ambulanti che vendono bocconcini fritti e panini rustici, un passo dopo sei di fronte al blu della Cala dove un tempo contrattavano mercanti pisani, arabi e normanni. Ora, senza fascino alcuno, svettano ciclopici traghetti e motoscafi che la salsedine minaccia e che non sono certo quello ti aspetti quando scorri una guida di cosa vedere a Palermo tra storia e gastronomia.
“E’ un peccato, perché la Vucciria di un tempo era bellissima. Ora è una desolazione – lamentano in tanti– C’erano bancarelle e vita, negozi e cibo di strada. Ognuno aveva la sua specialità. Ora tutto quello resta solo sulla tela di Guttuso”. Una immagine idealizzata di umanità fremente che non ritrovi passando davanti ai sempre più sparuti pescivendoli di piazza Caracciolo. Poco più in là invece c’è chi fa la coda per un panino farcito con polmone e milza: bolliti e poi soffritti nello strutto vanno a farcire una pagnotta che, i gusti sono dogmi, c’è chi preferisce “schietta”, ovvero al naturale, oppure “maritata”, con l’aggiunta di ricotta.

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Cosa vedere a Palermo tra storia e gastronomia: tra Street food e griffe di moda

Adesso si chiama street food, lo si nobilita con l’inglese. Per secoli, dai tempi dei macellai ebrei del ghetto, è stato piuttosto il cibo di chi non poteva sognare altro. E che spiegava la scelta anche con la necessità di riscaldarsi nei giorni di freddo invernale. Un freddo palermitano, sia chiaro. Anche quando lungo via della Libertà, davanti alle vetrine dei sarti del lusso globalizzato, le signore ostentano, sotto le palme, colli di pelo e gli uomini sciarpe e piumini, il sole resta sempre una carezza. E il brivido è al massimo quello della sorpresa di un nuovo scorcio oltre il portone di un palazzo, al di là del muraglione che toglie la prospettiva ad una piazza. Lungo via Maqueda o via Vittorio Emanuele, gli assi della croce barocca che disegna a volo d’uccello la città, o in una delle tante stradine dei quattro mandamenti che la formano dove, ad ogni passo anche il più distratto, percepisce di camminare su sedimenti di vite e frammenti di storia, ricordi di speranze e di giorni complicati. Ma d’altra parte qui hanno dominato, e mangiato, fenici e greci, arabi e svevi, francesi e spagnoli. E come ha scritto Roberto Alajmo, uno scrittore che qui è nato e insiste a vivere: “Palermo è una cipolla, è fatta a strati. Ogni volta che ne sbucci da sotto ne spunta uno diverso”.

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Cosa vedere a Palermo tra storia e gastronomia: rumore di traffico e cannoli

Un’immagine questa che vale per molte delle tante facce di questa città nobilissima e popolana, difficile ma nello stesso tempo ossequiosa. Una città di viali e di vicoli. Proprio di fronte allo sfarzo da melodramma dorato del teatro Massimo, in una viuzza inondata dall’odore di kebab, convive il piccolo teatro dei pupi della famiglia Cuticchio cosi come gli stucchi e i velluti del caffè Spinnato, tempio nobile e borghese del cannolo e della cassata, stanno a una manciata di passi dalle graticole delle botteghe di Borgo Vecchio. Qui, sui marciapiedi sempre invasi di carrozzerie, gente e rumore, il vapore delle cucine improvvisate gareggia con il fumo dei motorini smarmittati. E il mare è a due passi: ma pare impossibile da raggiungere sempre un po’ nascosto com’è da spigoli e angoli intrecciati e dalle facciate che paiono indecise. Perplesse se proseguire o cedere al vuoto che male si tollera come raccontano le  decorazioni delle chiese, simbolo del passare dei secoli e dei conquistatori.

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Cosa vedere a Palermo tra storia e gastronomia: romanico e barocco

La cattedrale della Santissima Assunta lo accenna con parole di pietra: nasce moschea costruita sulle fondamenta di una basilica, e poi devia dal romanico normanno per imbizzarrissi nel gotico. Il risultato è un miscuglio che sembra inseguirsi come una spirale. E se Palermo piace e fa innamorare è forse proprio perché non si vergogna di essersi tanto concessa, di avere tanto vissuto.
Le rughe, i segni ci sono tutti: ma poi si stemperano, con innata lentezza nella quotidianità di chi ha dalla propria la tolleranza dell’esperienza. Così i ragazzi, puntigliosi nel seguire le più effimere delle mode, scandiscono le notti bevendo birre e mangiando arancine senza curarsi troppo della immobile grandiosità barocca della chiesa di Sant’Ignazio all’Olivella mentre poco più in là persino i turisti spesso dimenticano di alzare la testa per ammirare le facciate dei palazzi seicenteschi che incombono sui Quattro Canti, la piazza che rappresenta il cardine della città e che finisce invece per ridursi solo ad un miscuglio chiassoso di auto, semafori, clacson e meste carrozzelle in attesa. Forse solo alla sera, quando viene il buio, un accenno di quiete invade i vicoli: i mercati ritirano le merci, le bancarelle, sempre più spesso gestite da uomini venuti da molto lontano, si spopolano.

cosa vedere a Palermo tra storia e gastronomia - banchi di cibo di strada

Cosa vedere a Palermo tra storia e gastronomia: tra terra e mare

Un’ombra di silenzio sembra distendersi su questa città sfatta e fiera, che non abbassa mai lo sguardo anche se soffre. Con calma, con ritualità mediterranea, i palermitani e i turisti tra un po’ si spargeranno per la cena, per un rituale che poco conta se sceglierà la terra o il mare, il cibo di strada o l’accoglienza di una trattoria. Magari, come spesso accade una coppia di ragazzi coi capelli lunghi, la chitarra e uno zufolo passeranno a chiedere spiccioli e riempire la sala di note meticce. Ascoltate e mangiate insieme: sentirete voci e sapori che vengono da lontano. E ad ogni boccone, se fate attenzione, sembra di masticare la storia.