Per scoprire lo spirito di un luogo si può partire dalle pietre o dai palazzi. Secondo la guida di Grado, tra le spiagge e la laguna del Friuli,  basta una pentola. E non serve neppure che sia di metallo nobile. No, è sufficiente una pentolaccia nera e pesante, decisamente sgraziata ma indistruttibile, con un manico sghembo da scuotere con vigore per fare insaporire gli ingredienti di una ricetta che a raccontarla pare sbagliata. Ma che quando te la trovi nel piatto si rivela perfetta. Tanto che ti innamori.

La pentola è quella che stava sul fuoco dei casoni, le vecchie case dei pescatori che vivevano nella laguna dove si faceva una vita grama: tanta fatica e nessuno svago. Non c’era acqua potabile, i casoni erano costruiti di canne e per scaldarsi c’era solo il fuoco su cui stava piazzata questa pentola in cui buttare i pesci appena pescati e insaporiti con quel poco che si poteva trovare: due gocce d’olio, aglio selvatico, vino ormai diventato aceto e tanto pepe. Il risultato è il “boreto”, il piatto diventato il simbolo di Grado, tra le spiagge e la laguna del Friuli.

Grado, tra le spiagge e la laguna del Friuli

Guida di Grado, la storia scritta nei canali

Un simbolo nato povero che però, come l’indistruttibile pentola, resiste alle mode e al passare dei secoli. Tanto che forse la cosa migliore è proprio chiudere gli occhi e inseguire l’aroma che sale lento dalla pentola. Sarà un caso ma l’ondeggiare del fumo ha la stessa indolente pigrizia delle maree che risalgono i canali. Ora, quei canali sono come la pentola: fondamentali per capire Grado e la storia. Proprio grazie alla laguna e alla sua posizione che Grado è diventato ai tempi dei Romani il porto della grande città di Aquileia.

Questa ultima però grandiosa e celebrata per le sue ricchezze, nel quinto secolo, attirò l’attenzione di Attila che la cinse d’assedio. Così, per sfuggire ai barbari e alle distruzioni, in tanti cercarono salvezza sull’isola. Tra questi anche il patriarca cristiano che col suo tesoro ben custodito nei bauli si trasferì in tutta fretta nella inespugnabile Grado – a difenderla ci pensava la laguna – che da quel momento in poi divenne una potenza. Tanto che si permise anche di sbeffeggiare la declinante Aquileia costruendosi, finalmente, un prezioso duomo e diventando chiesa madre per un territorio allora immenso che da Venezia andava fino alla Dalmazia. Forse in pochi sono pronti ad ammetterlo ma ancora oggi, a Grado, c’è chi pensa che Attila non era poi il flagello che raccontano sbrigativamente i libri di scuola.

guida di Grado

Grado, tra le spiagge e la laguna del Friuli

Ma se il sovrano degli Unni, suo malgrado, ha regalato a Grado una nuova sorte, trasformando il piccolo porto in una vera città, non ha potuto cambiare la magra vita quotidiana dei tanti che, lontani da terraferma e rassicuranti case di mattoni, hanno sempre tirato avanti nel cuore umido della laguna. Appunto nei casoni della laguna.

E qui torna la pentola, voce che ricorre nella nostra guida di Grado. Dove per secoli, al freddo di una casa di canne si viveva di quello che si poteva strappare alla natura: d’inverno si cacciavano le anatre con la spingarda e d’estate si pescavano seppie, branzini, orate, granchi.

Pesce e selvaggina, gli eterni protagonisti delle tavole popolari anche se oggi, la spingarda sta appesa al muro, come un cimelio da museo. E la pesca è solo la scusa buona per addomesticare le ore del tempo libero prima di rientrare per cena. Tanto, ormai, nei casoni, minuziosamente recuperati e rimessi a nuovo, ci si va il fine settimana per lunghe tavolate con gli amici. E per ottenere la concessione in affitto, rigidamente gestita dal Comune, di quella che una volta fu una casa di povera gente c’è anche chi si mette in lista d’attesa per anni.

Grado, tra le spiagge e la laguna del Friuli

Guida di Grado, tra gli hotel e le spiagge

Insomma, tutto diverso anche sulle isole intorno a Grado che si raggiungono con mezz’ora di barca anche se a colpo d’occhio sembrano giusto dietro l’angolo gli alberghi multilingue e multistelle di Lignano e le spiagge geometriche di ombrelloni e lettini. Forse solo il panorama della laguna è rimasto uguale. Anche se poi, ad ascoltare i musicali racconti della gente o facendo girare lo sguardo nelle valli da pesca, tra silenziose danze di aironi e merletti di reti, è facile illudersi che per questo microcosmo d’acqua bassa e canne, con il cuore nella marea e i piedi sulla terra, il tempo si sia fermato.

O almeno si vorrebbe proprio che fosse così. Invece, per fortuna a partire dagli anni ‘70 c’è stata l’esplosione del turismo con la calata dei tedeschi che cercavano sole e mare a Grado. E ovviamente cibo buono, proprio quello che spesso si basa sulla solita vecchia pentola e su quello che ogni giorno i pescatori della città, sfuriate delle onde permettendo, vanno a setacciare nel golfo che poi si allarga sino a bagnare Trieste. Per un lavoro che, è il lamento comune, è duro e rende poco. E che si trova a fare i conti con un mercato dove pesci senza sapore e senza poesia, figli di allevamenti lontani e mangimi, vengono smerciati a prezzi di saldo.

Grado, tra le spiagge e la laguna del Friuli

Pescherecci e vino del Collio

Eppure, nonostante il mutare dei tempi il centinaio di pescherecci di Grado – barche dai nomi poetici e antichi – continuano testardi a scaricare pesce azzurro e cefali, rombi e branzini, orate e sempre più rare anguille, vongole e canocchie. Quei frutti di mare che finiscono in boreto – sempre lui – ma anche a condire pasta (“rigorosamente in bianco”) o a sfrigolare sulle griglie. Il vino bianco che scende dalle colline del Collio, se potesse parlare, direbbe di non avere mai sognato abbinamento migliore.

Probabilmente è vero: ma certo speciale è girarsi intorno in questa fetta piatta di pianura verde che sfuma nell’azzurro della laguna dove, nella stagione giusta, a regalare impressioni da quadro francese hanno contribuito anche le pennellate rosate dei fiori dei peschi. Nel periodo giusto ci si mettono anche loro a aggiungere sfumature al verde e al blu. Quei mesi caldi in cui Grado, le sue spiagge e la sua pineta sono prese d’assalto da chi, comprensibilmente, cerca la lusinga della spiaggia e dell‘onda. E quella che per secoli fu solo isola un po’ corrucciata di gente di mare si è scoperta città aperta e ospitale per vacanzieri di ogni dove. E forse il fatto di non essere neppure più, di fatto, un’isola, dopo la costruzione negli anni ‘30 del ponte, ha certo contribuito a cambiare la prospettiva.

Quando era la spiaggia dell’Impero

Ma occorre ricordare un altro fatto che sta scritto sulla guida di Grado. Questa terra d’acqua ha fatto parte dell’impero asburgico. E gli austriaci investirono sul turismo per quella che divenne la prima spiaggia dell’Impero. Quella che era una collana di isole di pescatori, dove regnava la pellagra, divenne di colpo una meta prestigiosa di villeggiatura per nobili europei e il bel mondo della mitteleuropa.

E addirittura Francesco Giuseppe firmò un editto. E anche questa è storia. Che spiega perché, qua e la, c’è chi ancora ricorda con riconoscenza l’imperatore asburgico – e questo a differenza di quanto accade per Attila si può ammettere – magari sedendo a godersi un tramonto sul lungomare, tra la spiaggia Principale e la Costa Azzurra, o facendosi scarrozzare a ritmi da passeggiata su un taxi d’acqua tra le isole.

I sentieri d'acqua

La guida di Grado: e i sentieri d’acqua

Negli occhi e nel ricordo, sia in un caso sia nell’altro, restano le sfumature di luce e i profumi, note aspre di alghe a seccare sulla sabbia e di erbe asciugate dal sole. L’ultimo gesto qui a Grado è farne il carico di profumo prima di scansare la sedia e tornare verso la barca, la riva, la marea. E allora è forse questo proprio il modo giusto per corteggiare lo spirito di Grado.

Assaporarne i sapori e poi tornare verso i sentieri d’acqua della laguna dove cartelli stradali – paradossalmente simili a quelli delle città -raccontano una rete di vie e di percorsi che portano lontano. Alla sera, di notte, quando i turisti tornano negli alberghi, è splendido vagare senza meta nel castrum, fermandosi a guardare, nel silenzio, la spigolosa geometria del battistero o la grazia timida di Santa Maria delle Grazie.

Grado, tra le spiagge e la laguna del Friuli

Ma probabilmente è all’alba che si deve scegliere di uscire e infilarsi nella laguna. Ci vorrebbero i remi di una batela, la tradizionale barchetta a fondo piatto, ma anche il borbottio di un fuoribordo non riuscirà a rovinare la suggestione di quel panorama così antico di Grado, tra le spiagge e la laguna del Friuli. Qui, come ha scritto un autore di queste terre, Claudio Magris, l’acqua “sgretola, sommerge, feconda, irrora, cancella” ma soprattutto abbraccia. Quando poi il sole sarà alto e sarà tornato il caldo si potrà decidere cosa fare.

Se proseguire a vagare nel labirinto dei canali o tornare a terra e sedersi di fronte ad una vecchia pentola. Il sapore della laguna all’inizio forse può sembrare sbagliato. Ma alla fine t’innamora.