E’ stata al centro di battaglie feroci. E le cronache hanno raccontato di distruzioni, saccheggi e profanazioni. Ma Palmira, prima della guerra in Siria, era uno dei siti archeologici più straordinari al mondo. Ora, dopo essere stata liberata, si parla di restauro. In attesa che l’uomo ripari ciò che la follia ha distrutto, ecco un reportage realizzato alcuni anni fa che racconta cosa era Palmira, prima della guerra in Siria. Quando camminando all’alba tra le antiche colonne ancora sembrava possibile incontrare la regina Zenobia.

Fatelo al mattino. E, se potete, fatelo molto presto. E, ancor meglio: fatelo da soli. Si, uscite all’alba, quando ancora la sabbia è fredda, dagli alberghi di Palmira e tuffatevi in mezzo alle rovine. Magari, anzi certamente, avrete già avuto la ventura di confrontarvi con le rocciose stregonerie di Pompei o di Petra, avrete perlustrato le pietre magiche di Chichen Itza o Leptis Magna. Insomma, avrete conosciuto l’emozione delle storia che affiora dal passato e che, buffa esperienza, vi bussa, sfacciata, sulle spalle al tempo di adesso. Ma qui è Palmira, magico dominio della regina Zenobia, terra di Siria forgiata di sabbia e colonne, evanescente pianura di rovine che all’alba, appunto, prendono vita. Alla faccia di noi che, volendolo o meno, dei Romani possiamo contare sulle legittima eredità.

Palmira, prima della guerra in Siria

Palmira, prima della guerra in Siria: un’emozione oltre il tempo

Per cui fatelo al mattino e lasciate perdere quello che vi dicono le guide e la gente del posto. La regina Zenobia – bella e eroica -, per carità questa è storia, da qui è partita in catene, ha poi sfilato vinta ma non doma per le strade della caput mundi, ma la testa (non fidatevi dei vinti rancorosi) l’ha salvata. I nostri avi, ahimè, brutali e invadenti, a colpi di coorti e legioni, il regno glielo hanno tolto. Ma, perdonate se è poco, non le hanno tolto la fierezza alla sua terra. Che per questo va scoperta piano piano, quando il sole sorge. E dove ognuno, anche il più testone turista da Lonely Planet, si sente un po’ piccolo esploratore. Ed è bello così.

Già il viaggio, per le sabbie quasi fatate, obbliga a confronti ruvidi con l’emozione. E quello che vi scoprirete a vedere non è quello che pensate. D’altra parte Palmira, oggi probabilmente la prima meta turistica della Siria, è dove non te la aspetti. Per arrivarci occorre dragare un deserto brutto e scomodo, senza dune nè poesia, dove per fortuna, ad un certo punto spunta un bivio: e per chi bazzica l’attualità a cristalli liquidi da guerra quotidiana è brivido di realtà. Prima di sbarcare infatti a Palmira è sosta quasi obbligata in un piccolo locale che, ci vuol poco a capire perché, si chiama Bagdad Cafè. Si, come quello del film, ma qui il bivio parla chiaro e non è scritto nella celluloide: a sinistra Palmira, le rovine e il batticuore della storia. A destra Bagdad – quello della guerra. E il cuore lì, pare ovvio, pulsa a tutto un altro ritmo. Che si chiama kalashnikov. E le rovine sono da bombe più o meno intelligenti.

Palmira, prima della guerra in Siria

Palmira, prima della guerra in Siria conosceva la guerra. Ma era oltre il confine

Giusto il tempo per un caffè, una coca gelata o una sauna. Il Bagdad Cafè, da queste parti, vi offre tutto quello che vi serve. E se una sauna in un deserto a 40 gradi o poco più vi pare cosa poco utile è problema solo vostro. Che qui, per i locali, è attrazione rara, che vale pure la pena di farci parecchia strada per meritarsela. Ma, l’abbiamo detto, è roba per siriani doc. Per noi, moderni ma pigri viandanti, è invece solo una pausa fugace prima di sbarcare a Palmira. Una città strana, brutta oltre misura nella parte nuova e altrettanto splendida nella sua parte antica. E che Diocleziano ci abbia fatto costruire le terme aiuta a comprendere quanto possa essere antica. Se si dovesse dire come viverla si potrebbe suggerire un assaggio in due tempi: all’alba, appunto, e al tramonto. In mezzo, il bagliore di un caldo atroce d’estate e di una piccola folla di turisti scaricati dai pullman che portano fino qui gente che osa – si fa per dire – visitare una delle nazioni in odore di pericolo. Anche se l’unico rischio per chi la visita è quello di innamorarsi. Alla faccia dei proclami di stirpi più o meno canaglia. Il tramonto poi sulle rovine di Palmira, magari meglio se dall’alto del Qala’at ibn Mann, un castello del XVII secolo appollaiato su una ripida rupe, aiuta a sciogliere i dubbi: il massimo rischio è che vi vendano un tappeto. Insomma, in giro per il mondo può succedere ben  di peggio.

Palmira, prima della guerra in Siria

Palmira, prima della guerra in Siria: la poesia dell’alba

Poi, come detto l’alba: quando il sole si solleva, piacevolmente stanco, dietro i colonnati e la pietra dei templi, ha il colore della magia: e chi voglia sentirsi un po’ inviato da National Geografic farà ben poca fatica. A quell’ora, le sei o poco più del mattino, non vi troverete davanti nessuno. Al massimo un vostro simile, con l’unico coraggio di una levataccia, che armato di reflex scatta foto alla pietra antica e a bambini impossibili da non inquadrare, spettinati e curiosi. Quasi sempre bellissimi e neppure troppo invadenti. E magari qua e la ci si infila pure un cammello. Con il passare delle mezz’ore sarà poi un catalogo di colori e di esperienze: la temperatura che cambia, il colore del cielo, da blu a molto più blu, che si carica, di sfumature,  il virare in ombre sempre più calde della pietra dei templi e dei palazzi. In un sito archelogico sterminato, dominato dalla mole del tempio di Bel, oscura divinità locale a cui, chissà perchè, quando te lo trovi davanti viene in mente che i sudditi di Zenobia potessero offrire sacrifici umani.
Ma probabilmente è solo una malignità da antichi nemici: camminando lungo la strada principale della città, devastata da «noi» Romani nel 272, perdendosi nella teoria di colonne scolpite e ammirando gli archi colore dell’ocra, è evidente che la regina Zenobia e i suoi nulla avevano da imparare dai conquistatori. A cui hanno invece regalato per secoli denaro e ricchezze accumulate quando le carovane di cammelli, lungo la via che portava alla Cina, scaricavano qui i loro carichi di spezie e sete.

Palmira, prima della guerra in SiriaPalmira, prima della guerra in Siria: un tempo qui arrivavano i pullman dei turisti

Che fosse una città ricca poi è facile da intuire: basta salire alla valle delle tombe, che domina la piana e le rovine e restare increduli a guardare gli affreschi vecchi di quasi duemila anni: e se erano così ornate le case dei morti pensiamo un po’ come dovevano essere quelle dei vivi. Ma ormai l’alba è passata da un po’, il sole picchia duro sulle teste e il vento fresco del deserto è diventato una vampa: ormai è tempo di allontanarsi anche perché tra poco arriveranno quelli dei torpedoni che spezzeranno questo silenzio perfetto.
L’ultima occhiata alle pietre antiche di Palmira vale la pena di lanciarla dall’alto della scalinata del Tempio dei Canoni, voluto da Aureliano nel III secolo, dove tra capitelli scolpiti in filigrana frotte di piccoli venditori vi proporranno patetiche cianfrusaglie. Lasciate stare le cartoline, non cedete all’offerta delle kefia in tessuti sintetici e invece guardateli negli occhi: se Zenobia aveva quello sguardo non conta che abbia perduto la guerra. Tanto vi avrà conquistato il cuore.

Palmira, prima della guerra in Siria