Annodavano i capelli sotto il mento per avere “lunghe barbe”, gradivano il pescecane a tavola, adoravano la vipera. Ma guai a chiamarli “barbari”, perché i Longobardi furono anche fini orafi ed incisori e ancor più sottili ed acuti legislatori, capaci di dissolvere le certezze di un impero romano ormai in agonia senza distruggerne mai le radici. Per scoprire tutto questo l’occasione giusta è la mostra sui Longobardi a Pavia, quella che fu la loro capitale. L’esposizione, intitolata, “Longobardi, un popolo che cambia la storia” punta a raccontare gli ultimi 15 anni di scoperte archeologiche, documentali ed epigrafiche sul popolo “che cambiò la storia” e che, dalla Pannonia, attuale Ungheria, invase l’Italia e l’ormai ex impero, a partire dal 568.

La mostra sui Longobardi a Pavia

La mostra sui Longobardi a Pavia: Teodolinda e le altre

Allora, nel VI secolo d.C. a guidarli fu re Alboino insieme alla moglie Rosmunda, ma la Storia con la “s“ maiuscola ci ha consegnato mille storie sempre bellissime, ancorché tragiche, su questo popolo spinto dalla carestia fino in Italia e determinato a fare del Belpaese un nuovo grande esperimento di unità nazionale. La mostra sui longobardi a Pavia arriva al castello visconteo nell’ambito di un vero tour europeo che toccherà anche il Mann – Museo archeologico nazionale di Napoli, dal 15 dicembre e l’Ermitage di San Pietroburgo dalla primavera del 2018. Napoli, quindi, che del ducato longobardo di Benevento fu punto di riferimento e la Russia che per la prima volta accende un faro su una delle migrazioni che hanno modificato l’assetto dell’Europa antica.

mostra sui Longobardi a Pavia
La nuova esposizione al castello visconteo sulle rive del Ticino racconta di Teodolinda e dei suoi due mariti, Autari ed Agilulfo. Fu lei a sognare l’idea della fondazione di Monza, quella “Modo etiam” che ancora oggi conserva uno dei trademark più celebri dell’epopea longobarda, la Corona Ferrea, usata per le incoronazioni dei re d’Italia fino al XIX secolo. Fu sempre lei, Teodolinda, a convertirsi al Cristianesimo in un battistero attorniato dalle risaie di Lomellina. Fede o ragion di stato, al castello di Pavia si racconta anche di Cividale del Friuli e della Brescia della regina Ansa, i feudi a nord del paese, passando poi per Benevento che, tenendo a battesimo anche la scrittura beneventana, fu la capitale del ducato del sud.

Qui i Longobardi contribuirono in maniera determinate a salvaguardare la cultura classica, soprattutto grazie all’azione del monastero e allo scriptorium di Montecassino, prima distrutto e poi ricostruito e da allora sempre rispettato, così come avrebbe voluto il fondatore, San Benedetto da Norcia, così come ci racconta il principale cronista dell’epoca, Paolo Diacono. Sì, perché i Longobardi che oggi vediamo raccontati nella mostra al castello visconteo di Pavia, arrivarono in Italia per invadere e farne terra di conquista ma finirono a dominare senza (troppo) distruggere.

La mostra sui Longobardi a Pavia

La mostra sui Longobardi a Pavia: le leggi di Re Rotari

Ebbero le loro leggi, ma rispettarono quelle romane: l’editto di re Rotari, promulgato nel 643 in 388 articoli, è un prodigio di architettura forense, il primo “codex” di diritto non romano. Polverizza certi istituti romani, stabilisce per esempio il “mundio” per cui la donna resta sempre sotto la giurisdizione di uno degli uomini di casa, ma con grande modernità rifiuta la legge salica e permette anche alle donne di ereditare, volendo perfino un impero intero. Anche su questo fa luce la mostra che con la regia di Gian Pietro Brogiolo, Federico Marazzi e il contributo di Ermanno Arslan, Carlo Bertelli, Caterina Giostra, Saverio Lomartire e Fabio Pagano, può contare sulla direzione scientifica di Susanna Zatti, Paolo Giulierini e Yuri Piotrovsky e sulla organizzazione di Villaggio Globale international.

mostra sui Longobardi a Pavia

La mostra sui Longobardi a Pavia è  stata pensata nel cuore della loro terra e  l’esposizione permette di ricostruire la grande influenza dei Longobardi in Italia nella complessa fase di passaggio dall’alto medioevo all’epoca carolingia. Già, Carlo Magno: fu proprio lui ad essere chiamato in Italia nel 774 d.C. dal papa per porre fine all’esperimento longobardo che minava, secondo la visione del pontefice, alla stabilità della Chiesa. Così nella mostra al castello visconteo di Pavia è possibile anche comprendere le ultime fasi del regno dei longobardi. Sono gli anni di re Desiderio e dei suo figli Ermengarda e Adelchi celebrati dal Manzoni nel loro lacerante tormento fra ragion di stato e volontà personale. Ma i longobardi in meno di duecento anni lasciarono il segno. L’esposizione che si avvale anche della collaborazione con un centinaio di musei, è estesa a partire dai 58 corredi funerari che compongono una delle principali sezioni della mostra. E poi epigrafi, manoscritti, fra cui – in arrivo da San Gallo – il manoscritto dell’Editto di Rotari e poi il codice delle leggi longobarde opera di una collazione del 1005. Fra le novità, per la prima volta in mostra, anche i risultai di alcuni scavi archeologici in alcune necropoli come quella di Collegno nel torinese, da cui arrivano alcuni dei corredi in mostra. A completare i capolavori dell’esposizione al castello visconteo non potevano che essere alcuni capolavori della gioielleria finissima dell’epoca. Il tutto reso più accattivante da un intelligente apparato multimediale che prevede anche, come guide d’eccezione, degli ologrammi che vengono incontro al visitatore con un apparato in tre D di ultima generazione.

La mostra sui Longobardi a Pavia