Di Ceausescu non esiste più neppure un ritratto. E per trovare una sua immagine occorre frugare nel reparto calamite di una labirintica libreria. Il dittatore e la consorte sono ridotti al formato mignon, sotto forma di contenitori per il sale e il pepe. Di bandiere rosse poi neanche l’ombra. L’ultima si trova nei sotterranei dello spaventoso palazzo del Popolo voluto, al solito, dal Conducator. Ma è parecchi livelli sotto il livello del suolo, dove le pareti sono di cemento grezzo e ronzano i tubi del riscaldamento. Qui non verrebbe mai nessuno se non fosse per i turisti trascinati apposta a vedere quel drappo rosso. Come dire: il passato? Sta sotto terra. Come Ceausescu e questa bandiera. Noi guardiamo avanti.  La guida di Bucarest, capitale della Romania, due milioni di abitanti e un quarto del Pil dell’intera nazione, parte da qui.

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Dalla voglia di futuro di questo luogo che  la provetta in cui si sta tentando di realizzare l’esperimento finale: far evaporare l’immagine di una città – e di un paese – arretrati, tristi, quasi allo sbando, stremati da burocrazia e corruzione. Per guadagnarsi l’assaggio di paradiso tanto sognato in Europa. E molti saluti al comunismo e al Conte Vlad, il Dracula storico che da queste parti, in Transilvania,  era di casa.

Guida di Bucarest: la città di notte si diverte

«Qui adesso ci si diverte. Guarda che movida», giogioneggia in perfetto italiano Mihai, titolare di uno dei mille locali della zona di Lipscani, il quartiere che ogni guida di Bucarest indica come il cuore della movida. A vedere la folla di ragazzi che sciamano tra un pub e l’altro, in effetti, dell’autarchico torpore rumeno c’è ben poco. Data la confusione di lingue pare più che altro un Erasmus permanente ed effettivo, con le strobo e la musica al piano terra. E le facciate scalcinate ancora da restaurare tre metri più su.

guida-di-bucarestIl nuovo volto della città

«E’ vero, qui tutto è cambiato in fretta e in parte si vede. Era la zona più degradata, un’enclave di povertà e in pochi anni questo è diventato il nuovo centro della città, la zona della vita, dei giovani, del divertimento-, aggiunge Calin Ile, manager di un grande albergo. – Lo sappiamo: all’estero la Romania sconta molti luoghi comuni. Ma qui, per le strade, vedete forse qualcosa che non va?». Non è solo per educazione nei confronti di Calin: ma la risposta è no.

I viali come Cialea Victoriei sono una successione di vetrine delle griffe dei soliti noti, per terra non si trova una cicca, il traffico è da perenne ora di punta e le facciate dei palazzi intorno a piazza San Giorgio, avvolti in una ruffiana nebbiolina e illuminate dai proiettori gialli, intrigano per passeggiate mano nella mano. Se non fosse per le rom che vendono fiori agli angoli delle strade e per qualche raro palazzo abbandonato, con i soliti intonaci graffitati, ci si potrebbe sentire in una qualunque capitale di mitteleuropa. Coi prezzi in saldo, però.

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Guida di Bucarest: la meta ideale per un weekend

«Ecco perché Bucarest sta diventando una meta così apprezzata dagli europei per un weekend -, prosegue Calin. – Le low cost aiutano. Il resto lo fa l’offerta locale». Una astuta strategia di marketing? Forse; ma non solo. Chè davvero qui si incontrano frotte di ragazzi di casa nostra. E tutti confermano. «Si dorme in un tre stelle in centro a 45 euro a camera, si mangia con dieci euro. E ci si diverte fino a notte fonda», spiegano col sorriso dei vent’anni, e della terza birra in corpo, tre ragazzi arrivati dalla Toscana impegnati a fumarsi un nargilè al Macca Villacrosse passage, una graziosa galleria coperta in stile liberty.

Loro e molti altri, come le comitive più mature intente a sbranare stinchi di maiale nelle sale tutte stucchi del Caru’ cu Bere, la birreria più antica. Qui si spillano bionde dal 1879. Vista la folla perenne pare non intendano smettere a breve. O i tantissimi che si mettono in coda per la doverosa visita guidata al palazzo del Popolo, la ciclopica prova della paranoia di Ceausescu: 3100 stanze e un milione di metri cubi di marmo. Doveva essere il palazzo più grande al mondo, spiega la guida di Bucarest. Peccato: è solo il secondo. «Gli italiani sono tanti e crescono come numero», ammette Giorgio, la guida. Nella sua voce una cadenza già sentita: «L’accento? No, il rumeno non c’entra. E’ siciliano: ho fatto l’università a Catania».

I segni della rivoluzione

Insomma, Bucarest si compiace di stupire. Anche se non dimentica, e non può farlo, i tragici racconti dei bambini degli orfanotrofi fuggiti sotto i tombini dopo il crollo del regime. O la miseria acida e feroce di certi quartieri dove la fame era la vicina di casa più presente. Mentre a piazza dell’Università, a perenne memoria, una specie di pietra miliare porta la scritta «Romania Km 0 – Libertate, Democratie, Zona libera de neocomunism». Non serve sapere la lingua per capire.

«Ne siamo consapevoli. Molto c’è ancora da fare, gli stipendi sono bassi, le crisi politiche che si susseguono non aiutano e in certe aree ci possono essere molte difficoltà, in particolare nelle campagne», allarga le braccia Vasile. A vent’anni era partito da qui per la Svizzera. Ora ha deciso di tornare. «Ho sempre lavorato nel turismo. Adesso ho capito che è nella mia terra che mi devo impegnare». Una scommessa e una sfida. Sicuramente una possibilità. In cui tanti stanno credendo. E che apparentemente, ad una occhiata svagata da turista, sta dando i suoi risultati con il nascere di nuovi alberghi. Fuori hanno i vezzi dei palazzi d’epoca.

Dentro il rigore del minimal metropolitano. Lo stesso effetto che fa notare il moltiplicarsi dei menu insaporiti d’esotismo nel ristoranti etnici: cozze e patate fritte o spaghetti alla carbonara sono più facili da trovare ormai delle mititei, le classiche polpette piccanti dei contadini. La guida di Bucarest attraverso i ristoranti è un atlante di sapori. La vera domanda, senza risposta, è scoprire cosa succederà ora, se la nuova classe media che parla inglese e pensa occidentale, saprà fare da traino e aiutare ad archiviare il retaggio di una dittatura e dei suoi danni.

Storia e futuro

E sono tanti. Ecco perché vale la pena di perdere qualche ora passeggiando nell’apparentemente ingenuo Museo del villaggio «Dimitrie Gusti». Al centro del parco Herăstrău sono stati trasportate decine di case, chiese e ed edifici della storia rumena, una specie di bignami di architettura e tradizioni, una guida di Bucarest e della Romania con i tetti in legno e le persiane colorate. Insomma, il catalogo del passato.

A tre fermate di metropolitana, invece, ogni sera la gente giusta fa la fila per passare l’esame dei buttadentro del Bamboo club, dove bellezze vertiginose si dimenano a bordo piscina. E qui è l’essenza del futuro. In mezzo c’è la città reale e i suoi abitanti. Ovvero il presente: le prospettive quasi metafisiche di boulevard Unirii, la gente che passeggia sul viale Brătianu o l’ipnotico salmodiare dei fedeli sotto le icone della chiesa della Stavropoleos. Resta da capire quanto tempo impiegherà tutto questo per fondersi. E diventare la Bucarest di domani.