Quella volta, sull’Appennino Parmense, il diavolo ci rimise perfino le unghie. Se le consumò a furia di graffiare la roccia nel tentativo di darsela a gambe di fronte ad una piccola croce con cui un eremita tenace si difese dalle sue tentazioni. Cibo, acqua e perfino un’ammiccante fanciulla: Lucifero le provò tutte per scoraggiare la preghiera e il fervore religioso con cui si pregava lassù fra rocce di arenarie a mille fogge scolpite dal tempo e dalla fantasia. Così narra la leggenda e oggi quei massi graffiati dalla rabbia e dalla fretta della fuga di Belzebù se ne stanno li, memento perenne di un mistero ancora irrisolto: da dove vengono queste rocce aguzze e fragili così diverse da queste terre di dolci colline? Sembrano il gioco di un bimbo con sabbia e acqua sul bagnasciuga, “Ma è una vena rocciosa composita, totalmente estranea al paesaggio circostante, vecchia di 80 milioni di anni che arriva dal Monferrato”, spiega Stefano Mordazzi dal Cai Parma parlando dei salti del Diavolo sull’Appennino Parmense.
Salti del Diavolo sull’Appennino Parmense: i calanchi della Francigena
Un po’ Cappadocia, un poco calanchi, questi pinnacoli, le “ciastre” appunto furono soprannominate “Salti del Diavolo”, ma furono gli scalpellini di queste terre, a caccia di materia prima, resistente ma docile, a farne buon uso per le loro sculture. Benvenuti sulla Cisa, appennino parmense e aria di crinale. Non lontano di qui corre la Via Francigena che accompagnava i più temerari e ferventi viaggiatori verso Roma, ma la selva che scende verso la valle del torrente Baganza è “infestata” di leggende e fiabe millenarie che fanno piuttosto venire voglia di fare una pausa in questo caravanserraglio di montagna. Appunto i salti del Diavolo sull’Appennino Parmense. A quota mille e nell’anno mille. Da allora sul crinale si incrociano paradiso ed inferno. Il primo è quello che inseguivano i pellegrini a caccia di traguardi più alti lungo la via Romea. Il secondo è quello con cui scherziamo noi moderni erranti del trekking e della gita zaino in spalla. Sulla “schiena” della Cisa si incontrano da sempre tanti mondi: anche oggi per questa passeggiata di uno o più giorni si può scegliere se arrivare in auto o in moto, per concedersi un antipasto di emozioni lungo i tornanti che da Fornovo di Taro salgono a Piantonia, senza esagerare con le “pieghe” su due ruote, come raccomanda la gente di qui. Sia come sia, il motore si spegne a 8 chilometri da Berceto, a Cassio, piccolo borgo di pietra e poesia dove ancora le insegne recitano rassicuranti “Commestibili” e dove alcuni vicoli non sono più larghi di spalle esili. L’ostello della “Francigena” sta accanto ad un piccolo hotel che accomuna, con menù a prezzo fisso, motociclisti e pellegrini e l’atmosfera ricorda le parole dello scrittore emiliano Silvio D’Arzo: ““Sette case addossate, due strade, un cortile che chiamano piazza e montagna quanta ne vuoi“.
A Cassio oggi vivono in pochi, ma morirono in molti, nella vicina radura di Conca della Bora (45 minuti a piedi) il 5 dicembre 1944, come ricorda il monumento che divide il piccolo centro storico da chi ha fretta di svalicare sulla Provinciale. Fermandosi, invece, il tempo restituisce la fatica e la bellezza di questi luoghi. Il nostri itinerario muove dalla scuola e dalla parrocchiale in pietra attraverso un arco giù nella pancia della valle alla scoperta della via di fuga di quel diavolo tentatore. Il primo giorno si cammina con percorso circolare di circa 4 ore. La discesa prima, la salita al rientro: vale la pena perché i salti del Diavolo sull’Appennino Parmense disposti come la cresta di un drago si ammirano meglio così. Nel segreto del bosco si giunge in 45 minuti al fondovalle e al letto del fiume che si supera con un avveniristico ponte sospeso. Sull’altra sponda cominciano salita e meraviglie. Si prosegue in direzione Chiastre di Ravarano (altri 45 minuti) per ammirare da vicino i “salti”, “che prendono ora la forma ora di un pinguino, ora di uno squalo”, spiegano dal Cai Parma la cui unica raccomandazione è evitare i giorni che seguono ad abbondanti piogge per non trovare troppo fango. “C’è anche il dente del gigante”, proseguono dal Cai, ricordano il più famoso omonimo valdostano nel massiccio del monte Bianco. Al “Dente” in declinazione appenninica si giunge oltre la piazza di Chiastre, dedicata agli Scalpellini, in mezz’ora di cammino più ripido fra massi abbandonati e spettacolari scorci della valle. Il percorso all’indietro da ragione a Silvia Gentile, che da Roma ha messo radici qui in un agriturismo vicino, ormai alcuni anni fa: “Qui la natura regola il tempo ma mi ha dato le risposte che cercavo”. Ritornati a Cassio (4 ore in totale), si può scegliere la più vicina e “mondana” Berceto per riposarsi e ripartire l’indomani, sempre da Cassio, per un incontro ancor più ravvicinato con i salti del Diavolo sull’Appennino Parmense: la meta è la Chiastra di San Benedetto, la dove l‘eremita subì gli attacchi del diavolo. La sua grotta, che servì anche ai partigiani, è ancora nascosta fra le pareti rocciose e il gruppo di massi “graffiati“ è visibile anche dalla strada che da Cassio punta alla Selva del Bocchetto. Una passeggiata circolare di un‘ora e mezza permette di infilarsi letteralmente fra le pieghe della “Ciastra”, per ammirarne il profilo da ogni punto di vista e di raggiungere, volendo, la cima del Monte Cassio (1023 m), respirando l‘aria della leggenda dei salti del Diavolo sull’Appennino Parmense. Tanto sicuri che il diavolo è ormai molto lontano.
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