Se vi sembrerà un indice puntato verso il mare vi correggeranno subito: “Tharros è semmai un pugno chiuso e ci ha sempre difesi”. E’ qui, a Capo San Marco, nel golfo di Oristano e a meno di un’ora da Marceddì ed Arborea, la star della penisola del Sinis che, nelle sue pietre antiche, trova la sua alfa e la sua omega. Se a zonzo nel Sinis si vengono a scoprire le spiagge, fuggendo la morsa dei grandi stagni di Cabras e Santa Giusta, le colonne  del sito  di Tharros sulla penisola del Sinis e le chiese romaniche dritte verso le nuvole, ricordano che c’è di più. E che c’è una storia lunga almeno tremila anni che ancora oggi si rinnova.

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Il  sito di Tharros sulla penisola del Sinis e le chiese romaniche

Ad adocchiare queste rocce a picco sul mare furono, prima le misteriose civiltà nuragiche, quindi i Fenici: erano perfette per difendersi, ma anche per far prosperare un’itera città. E così fu, perché Tharros diventò sempre più bella anche sotto i Romani che le regalarono terme e nuove strade che, ancora oggi, la rendono una vera metropoli in miniatura. Oggi ci si arriva a piedi e dall’alto, dalla collina di “Su muru mannu”, dove ancora si intuiscono i resti fenici del tophet e della necropoli. A destra la spiaggia di San Giovanni è tormentata dalle onde del mare aperto. Da qui la vista corre fino alla torre di San Giovanni di epoca spagnola e poi fino a Capo Frasca che si perde all’orizzonte nella nebbia leggera e nelle acque più calme del golfo. La città romana invece è ai nostri piedi, come un tappeto solcato dai “ricami” di cardo e decumano, le due vie principali secondo i romani. Il sistema fognario e di scolo, insieme al grande acquedotto, chiamato “Castellum acquae”, fanno invidia alle nostre infrastrutture moderne. E’ questo, forse, che colpisce di Tharros che scoperchia le sue antiche viscere al visitatore moderno per raccontare una storia di ingegneria e precisione d’altri tempi. Blocchi di arenaria ordinati danno forma alle case che accerchiano le terme e i templi. Ordinatamente. Oggi come allora: “Ad un certo punto della storia Tharros si addormentò”. Ma nessuno riuscì mai a domarla.

il sito di Tharros sulla penisola del Sinis e le chiese romaniche

Il sito di Tharros sulla penisola del Sinis e le chiese romaniche

Quando si va alla scoperta del   sito  di Tharros sulla penisola del Sinis e le chiese romaniche subito si viene colpiti dalla più bella tra le chiese, San Giovanni di Sinis, che risale al V secolo d.C. ed è anche la più antica. Le sue forme rotonde la fanno sembrare un “errore” bizantino ed orientale in terra d’occidente, mentre all’interno cresce perfino il muschio sulle sue colonne robuste. Questa chiesa paleocristiana, come le altre “sorelle” romaniche e un poco più tarde, della provincia di Oristano, ha una missione: ricordare la grandezza di questo territorio che fu la culla dell’orgoglio e dell’indipendenza della Sardegna. Il culmine di questo sentimento si raggiunse sul finire del Trecento quando Eleonora D’Arborea e la sua “Carta de Logu” – un corpus di leggi promulgato nel 1395 e valido fino al 1817 – diedero vita al “Giudicato d’Arborea” ed ad un fertile periodo di libertà. A testimoniare l’orgoglio “ichnuso” sono anche loro, le chiese. Se la “capostipite” San Giovanni se ne sta all’imbocco del Sinis, la basilica di Santa Giusta sorge al centro della piana che da Arborea conduce ad Oristano. Grigie le sue pietre, austero il suo profilo che ricorda le chiese toscane e liguri, svetta in cima ad una scalinata dove ancora oggi vecchine con foulard si affrettano per non perdersi una messa. Un poco più a nord ecco altre due gemelle in bellezza, diverse in fascino: sono Santa Sofia nel borgo di San Vero Milis e San Paolo Milis, entrambe del XIII secolo.