A pensar male sembrerebbe il colpo di genio di un guru del marketing: Franciacorta. Quale nome può suonare più ammaliante – pare già lo slogan dello spot – per la patria dello champagne tricolore?
“Beh, certo non si può negare che qui si producano le migliori bollicine italiane. Ma la Francia, perdonate, non c’entra nulla”. Maurizio Zanella, presidente del Consorzio per la tutela del Franciacorta, bonario sorride facendo da ideale cicerone per un viaggio in Franciacorta, la terra del vino. E, in fondo, se lo può permettere ora che le bottiglie che rendono frizzanti le colline bresciane danno scacco matto a quelle d’Oltralpe sulle tavole di mezzo mondo. E – badate bene – il merito non è dei maghi del commerciale. Ma piuttosto della coraggiosa fatica dei vignaioli.
“Il termine Franciacorta non ha nessun legame con quello del paese oltre le Alpi ma ha invece un’origine che si lega alla antica presenza di corti franche, cioè insediamenti monastici cluniacensi esentati dall’obbligo di versare imposte”. E poi via un altro sorriso prima di svelare una storia che pochi conoscono e che viene da lontano. Ed è una storia affascinante di parole e bollicine.

viaggio in franciacorta, la terra del vino

Viaggio in Franciacorta, la terra del vino mordace

Da queste parti infatti il medico Gerolamo Conforti scrisse un “Libello de vino mordaci“ che svela i segreti della produzione e dei caratteri dei vini spumeggianti. Che lui definì appunto “mordaci”. Il dettaglio fondamentale però – quello che spiega il sorriso sornione – è che lo fece nel 1570. Ovvero un secolo buono prima che il celebrato Dom Pierre Pèrignon, nella lontana abbazia di Saint-Pierre d’Hautvillers, elaborasse la tecnica che ha dato vita allo champagne. La morale di questa storia, alla fine, è di quelle che danno alla testa: le bollicine dei re, si può dire senza smentita, qui in Franciacorta erano di casa e ben note prima che nello Champagne. E pensando al ghigno dei francesi di fronte a questa beffa viene voglia di brindare durante un viaggio in Franciacorta, la terra del vino.
“Lasciamo però stare sia le storie del passato, sia le sfide – glissa Zanella. – E limitiamoci piuttosto ad un dato di fatto: i vini i spumanti della Franciacorta, come li conosciamo ora, sono ancora giovani, così come i vigneti che li producono. Quindi, per quanto i risultati raggiunti siano importanti, abbiamo ancora il tempo di crescere e migliorare”.
Che è come dire: colpito e affondato. Dopo la bordata sulla primogenitura delle bollicine più magiche Zanella, rincara la dose. Miscelando, come in una equilibrata cuveè, basso profilo e sguardo al futuro. Partendo da una verità facile da capire anche per gli astemi. Addirittura sfacciata come la differenza tra il bianco e il rosso. “La nostra forza sta nel fatto che in queste terre, fino a pochi anni fa, tutti prevalentemente producevano e bevevano vino rosso. Poi qualcuno ha osato mettersi in gioco. E tutto, quasi magicamente, è cambiato. E se ora siamo apprezzati per i nostri spumanti crediamo che potremo fare ancora meglio in futuro”.
Insomma, qui nel 1500 si studiava l’anima dell’acino cercandone la quintessenza, poi per secoli, per placare la sete, si sono stappate vigorose e un po’ sgarbate bottiglie di rosso. E infine, solo dal 1960 o giù di li, si è osato gettare il guanto di sfida alle magiche bottiglie “made in Reims”. Le stesse, in origine spocchiose, che da allora hanno imparato a guardare con rispetto a questa terra di viti ma anche di ulivi, con i piedi conficcati nella pianura padana e la testa già immersa nel lago d’Iseo. Con le Alpi e le valli Camonica e Trompia a fare da ombrello.

viaggio in franciacorta, la terra del vino

Viaggio in Franciacorta, la terra del vino e dell’olio

Detta così sembra una favola. Ma queste zolle ruvide non hanno mai ceduto alle fragili smancerie delle fate e delle fole. E se le bollicine sono aeree e evanescenti al contrario sono terragni e vigorosi i sapori nel DNA della gente. E la riprova viene dai brogliacci delle ricette di famiglia. Perfette per addomesticare appetiti vigorosi d’altri tempi, quando un viaggio in Franciacorta, la terra del vino, avrebbe mostrato una quotidianità assai differente.
Un esempio per tutti è il classicissimo manzo all’olio, una ricetta che si trova codificata fino dal Medioevo, e che mette insieme un paio delle eccellenze della Franciacorta: la carne bovina e l’olio del Sebino. Ovvero due dei vanti da export dell’epoca pre-bollicine.
Il manzo, tradizionalmente, veniva da Rovato dove si svolgeva una dei mercati del bestiame più importanti del contado. L’olio invece, rigorosamente derivato da ulivi di cultivar leccino e frantoio, è quello della zona del lago d‘Iseo: delicato e particolare visto che nasce molto a nord – qualcuno invidioso dice troppo- al limite della terra degli ulivi. Ma se il manzo all’olio ora è una ricetta simbolo per la zona una volta era invece un lusso raro. Per la gente del popolo il piatto quotidiano era piuttosto la polenta: di giorno, appena fatta, rovesciata dal paiolo. La sera riciclata con l’aggiunta di brodo. E al mattino passata nel latte.
Ma, ovvio, parliamo di altri tempi: dei giorni magri della fame, del passato remoto in cui i casoncelli – la classica pasta ripiena locale – si farcivano con le bietole selvatiche e il vino era un ruvido alimento quotidiano indispensabile su ogni tavola. E non un dorato nettare col perlage che ammalia.
“Qui si praticava una agricoltura povera, la terra era sassosa, non irrigata e certo meno generosa rispetto alla molto più prospera campagna della Bassa bresciana”, raccontano gli agricoltori ancora oggi. Anche se poi si permettono un sussulto di orgoglio: “Ma qui c’era, e per fortuna c’è ancora, un microclima che ci ha permesso di trasformare quello che si è sempre fatto, cioè il vino, in una ricchezza”.
E per capire come l’oro dei flute sia diventato oro per i viticoltori – e l’intero territorio – non serve neppure bere: basta guardare, continuare il viaggio in Franciacorta, la terra del vino. E’ sufficiente infatti lasciare andare la macchina tra le colline, perdersi nella tavolozza dei colori dei filari, ammirare i roseti in cima ai vigneti piantati quando si diceva che le rose avrebbero avvertito per tempo di possibili malattie che stavano per colpire la vite. Ora ci sono tecniche ben più sofisticate di un fiore: ma quei petali sono tanto belli che sarebbe un peccato perdere la tradizione.

viaggio in franciacorta, la terra del vino

Viaggio in Franciacorta, la terra del vino e del turismo

“Insieme alla crescita della viticoltura da qualche tempo si affianca una crescita della offerta turistica che si ritrova anche nella ristorazione – prosegue Maurizio Zanella che poi squaderna la ricetta del successo della Franciacorta usando ancora il principio della cuvèe: in enologia è una sapiente miscela di uve e di vini. Qui è una fusione speciale con un ingrediente in più.
“Se il nostro territorio è ora noto e apprezzato nel mondo lo si deve certamente a quello che i francesi chiamano terroir: ovvero le speciali condizioni naturali, fisiche, geografiche e al clima di questa zona. Ma senza la fatica e l’intelligenza dell’uomo tutto questo non sarebbe nulla”.
Già, l’uomo. O meglio: i viticoltori, capaci di affrontare la fatica amara tra i filari senza mai perdere la voglia di sognare. Ha, infatti, il profumo del sogno la storia di questi testardi vignaioli che lentamente hanno dismesso le tradizionali e rassicuranti distese di cabernet, merlot e nebbiolo per puntare su una scommessa in sfumature di bianco e speranza di chardonnay e pinot. Il tutto inseguendo quella magia che è la rifermentazione in bottiglia che, bontà sua e fortuna nostra, ha regalato nel 1995 la Denominazione di Origine Controllata e Garantita. E il successo mondiale.
Non male per una terra che, dice una seconda leggenda decisamente malevola, avrebbe avuto il suo nome non dalle corti monastiche ma dallo sberleffo contenuto nella frase “A curt de franc”, ovvero “a corto di denaro”. La frase giusta per indicare il destino di tanti: pochi franchi, ovvero, soldi. E fame tanta.
Un gioco, uno burla, è ovvio che ci piace ricordare nel nostro viaggio in Franciacorta, la terra del vino. Ma d’altra parte che una certa rustica concretezza fosse cifra di queste terre non è difficile capirlo. Ed è bello farsi ammaliare da questi panorami mai sdolcinati. E per farlo non c’è luogo migliore che seguire le rive tortuose del lago d’Iseo. Qui i pescatori d’acqua dolce per secoli hanno salpato reti cariche di persici, lucci, tinche e salmerini mentre le grandi barche dalle vele quadrate portavano dal basso lago, partendo da Iseo e Sarnico, i prodotti della pianura – e ovviamente il vino – verso le pendici ripide della Val Camonica.
Era il tempo in cui il ritmo della vita e del lavoro era scandito dal “Vèt” e dall’”Ora”, i venti che si davano il cambio soffiando tra nord e sud, tra terre alte e terre basse. Ed era il tempo in cui su ogni tavola si trovava la tinca al forno accompagnata con la polenta.
Quasi tutto ora è cambiato: ma per fortuna la tinca, vanto di Clusane d’Iseo, si mangia e si apprezza ancora come si scopre in un viaggio in Franciacorta, la terra del vino e dei sapori. “Certo, la ricetta è rimasta: ma una volta qui c’erano centinaia di pescatori e il lago dava da mangiare a tanti – raccontano con una vena di rimpianto gli anziani che si incontrano a cercare briciole di pallido sole nelle mattine di inverno su lungolago Marconi a Iseo. – Ora invece si pesca solo per passare il tempo e i vincoli sono infiniti. Tanto che i «naèt», le classiche barche del luogo, restano ormeggiate a riva».

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Viaggio in Franciacorta, la terra del vino e dei pescatori

Vero: di pescatori professionisti ne sono restati pochi. Ma rimangono invece intatti i panorami della riserva delle Torbiere, una straordinaria ragnatela di canneti, pioppi e giunchi dove germani e aironi mettono su casa e dove la tinca e il luccio nuotano placidi sotto le ninfee. Mentre dall’altra parte del lago ancora si replica il rituale dell’essiccamento al sole degli agoni – i pesciolini che qui si chiamano sardine – e che poi finiscono in padella. Pronti a maritare la polenta.
La fame nera però, per fortuna, non c’è più. E anche i branchi di pesci sono calati braccati da invasori foresti come i pesci siluro che fanno stragi delle uova. Ma, d’altra parte, il successo del vino traina la ripresa. E anche tradizioni una volta traballanti ora riprendono forza. Per scoprirlo, e respirarne il profumo, è bello proseguire il viaggio in Franciacorta, la terra del vino,  attraversare il lago e sbarcare a Montisola, la più grande isola d’acqua dolce d’Europa dove, si gira solo con biciclette o con i pulmini del comune e dove, per prepararsi al pranzo, vale la pena di inerpicarsi fino ai 600 metri del Santuario della Madonna Ceriola. Dentro, sulle pareti, sono allineati a bizzeffe gli ingenui ringraziamenti degli ex voto mentre fuori, visto dall’alto, anche il lago pare molto più piccolo, quasi timido. Giusto una chiazza azzurra nella tavolozza verde dei campi e dei vigneti. Un abbozzo d’acqua in un territorio che è una  promessa di terra e vino.
In distanza, tornando verso le colline non si può non notare il monte Orfano sulla cui cima spicca il convento dell’Annunciata. Affacciandosi da quassù la pianura bresciana finisce per sembrare il plastico in miniatura di un gigante burlone. Con le sue mille strade, i capannoni di cemento e le case sorvolate dagli aerei simil giocattolo che si allineano con la pista di Bergamo. Tornare bambini è facile quanto provare a perdersi nel dedalo di strade tra i vigneti. Prima di – torniamo adulti – infilarsi in una delle tante tavole ospitali a scegliere tra Pas dosè, Extra brut, Satèn o Rosè.
Quei nomi, quelle bottiglie e quelle etichette adesso sono un patrimonio comune, il catalogo degli aperitivi ricchi dei giorni belli. Solo cinquant’anni fa invece l’idea di fare uno spumante tra queste colline era solo l’intuizione coraggiosa di chi sapeva guardare lontano.
Mentre ci si perde a inseguire la danza delle bollicine nei flute viene allora in mente che per il nome Franciacorta esiste una terza leggenda che risale al 1265 quando gli uomini di Erbusco e Rovato si ribellarono, per i loro «vespri» alle truppe di Carlo D’Angiò. «La Francia avrà vita corta» pare urlassero i ribelli che volevano l’indipendenza. E’ una leggenda certo, e come tale va interpretata. Ma godendosi l’ultimo sorso di bollicine di questo viaggio in Franciacorta, la terra del vino, si finisce per pensare che in fondo potrebbe essere vero. E che se i francesi da queste parti scoprono l’invidia forse hanno davvero i loro buoni motivi.