“Permette?” Ha la mano salda e i modi gentili Efisio. Finita la salita molla la presa e ci fa vedere che ha ragione: anche dalla cima dei viottoli di Arbus il mare non si vede. “Eppure si sente”, aggiunge. Questa è la sua “conto de fuchile” preferita. Si, proprio una storia da focolare per raccontare questa Sardegna dura e bellissima, il vero “far west” di un’isola che non voleva la sua costa e per cui il mare, più che un approdo, è sempre stato un pericolo. Un’isola “al contrario”, per un viaggio nella Costa Verde della Sardegna. Da Arbus ad Arborea, da sud a nord, dai monti al mare.
Ad Arbus si arriva leggeri, lungo la superstrada Carlo Felice. Un’ora e mezza da Cagliari, solcando la piana di Guspini, ricca di testimonianze nuragiche ed archeologiche, e poi inerpicandosi su per i tornanti nel bosco. Pini, ombra, grilli e stradine che si srotolano su colline odorose. Questo è quello che si vede, ma sotto c’è un mondo ed è quello delle miniere di Montevecchio ed Ingurtosu che, insieme ad Arbus, facevano, fino agli anni Ottanta, concorrenza a quelle del Sulcis. Piombo, zinco ed anche argento.
La Costa Verde in Sardegna: terra di miniere
Una vita dura, un paese d’ombre, il “nulla della fatica quotidiana”, diceva Elio Vittorini. Oggi, con una o due mezze giornate da rubare alla tintarella, si visitano pozzi come il Gal, laverie come quelle di Brassey e Naracauli, cunicoli e antichi impianti come le centrali Sanna e Piccalinna. I percorsi guidati hanno lunghezze differenti, ma tutti si fermano davanti alle case dei minatori che sono coperte di murales. Vi si legge un racconto per immagini che nasconde storie durissime.
Le dimore dei “signori” sono, invece, deliziose ville dai mille tesori come quella di Giovanni Antonio Sanna. I suoi saloni, fra stampe che rievocano le gesta di Napoleone, non stonerebbero in un arrondissement della Parigi del secolo scorso. Basta aprire una finestra, però, per sentire il richiamo delle cicale che nel caldo cantano di ben altre latitudini. Fuori e dentro, sotto terra e in superficie: questo angolo di Sardegna si rivela a poco a poco.
Terra dura, da pane e coltello
“Questa è da sempre una terra che va scavata ed incisa per essere capita”, spiega Paolo Pusceddu facendo roteare un ”arburese” col manico in avorio. Non a caso lui è il signore dei coltelli ad Arbus: porta avanti da 20 anni l’arte “arresoja” del luogo, ha depositato il marchio, vanta fra i record il più grande coltello al mondo – un serramanico di 215 kg – ed ha aperto un museo sulla coltelleria dove si prodiga in spiegazioni multilingue. “Col primo coltello che mi regalò papà da bimbo, mi sentivo un pirata, pronto a tutto”, ricorda Pusceddu. Da queste parti un uomo non chiede di più: avere pane e coltello – “pani e arresoja a manu” – è già un bel lusso.
E poi le spiagge della Costa Verde
Già, ma il mare? “Un tempo si diceva “vai in miniera”, oggi si va al mare, ma l’abbiamo capito da poco”, scherzano i vecchi di Arbus ai tavolini del bar all’angolo: il loro paese va dai monti delle miniere fin giù, alle dune di sabbia e alle spiagge della costa Verde, il premio in palio per chi sappia andare e vedere oltre questi monti. I fortunati turisti fanno lo stesso viaggio delle merci che, un tempo, dalle miniere scendevano a riva per essere imbarcate sui mercantili diretti al continente.
Oggi, invece, i visitatori si fermano su spiagge che avrebbero fatto la fortuna di ogni catalogo da viaggio e che, invece, sono ancora in grande parte incontaminate. Prendi Is Piscinas dove l’unico hotel recupera il capolinea dei binari delle fonderie. Di quel nome c’è da fidarsi: il mare è una piscina bordata da 4 km di sabbia dorata. Pochi lettini, qualche ombrellone, due chioschi e un’atmosfera da “Finis terrae”. Oltre, in effetti, il Mediterraneo è come un oceano di diversità. Talvolta il maestrale può ingaggiare grandi duelli con le onde e allora la spiaggia somiglia più ad un’oasi protetta in mezzo al deserto.
Alla scoperta delle dune. Da record
Non ci credete? Ci sono perfino le dune: sono fra le più alte d’Europa. Qui superano i 50 metri e cambiano colore, dal rosso fuoco al tenue albicocca, proprio come in un Sahara domestico. “Ci chiamano costa Verde, ma abbiamo anche il deserto e siamo la risposta bella e selvaggia alla costa Smeralda”, spiegano a Portu Maga, il piccolo paese che, oltrepassata Is Piscinas, coccola i visitatori con una spiaggia ocra intenso, uno dei più bei tramonti e ottimo pesce fresco, sempre nell’unico hotel aperto, dopo che il turismo all inclusive ha traslocato in altri lidi.
Qui si arriva su strade sterrate, respirando tutti i profumi della macchia mediterranea, e cimentandosi anche in due piccoli guadi con l’auto. “Prendere o lasciare, qui si vive così” dicono, poco oltre, a Funtanazza.
La torre dei Corsari
Questa spiaggia sembra uscita da un acquerello sbagliato: giusti sono i colori del mare e la magia della caletta che, a differenza delle altre spiagge della costa, è piccola e riparata. Stona, invece, un poco, alle spalle la mole di un’antica colonia estiva che affonda le rughe del cemento in un giardino ancora rigoglioso.
“Ci sarebbe molto da recuperare, ma non è facile con la burocrazia e le leggi”, spiegano Franco e Loris che sulla spiaggia di Torre dei Corsari hanno un bel da fare, con il ristorante e il lido da gestire, per sei mesi l’anno. Il resto? “Ci chiamano pecorai e ne andiamo fieri”, precisa Franco, ricordando che da queste parti, il recupero delle tradizioni, così come di mestieri che nessuno sembrava voler più fare, è il primo antidoto alla crisi. Come a dire che se non si può andare avanti, migliorando infrastrutture e collegamenti, si guarda almeno indietro, da dove si è venuti.
La Costa Verde in Sardegna: mare e bombardieri
In effetti voltando le spalle a questo mare blu lo sguardo si inerpica su un altro pugno di dune altissime dove qualche coraggioso turista si avventura per un bagno di sole rovente. Qui il deserto è “fiorito” da solo e gli arbusti della macchia mediterranea spingono le radici fin nella sabbia, mentre in lontananza anche il paese di Pistis che “chiude” la costa, sembra un presepio che vive tutto l’anno.
E’ allora, con lo sguardo “intrappolato” fra il mare e questo “assaggio di deserto” che si capisce l’essenza di costa Verde: la natura in fondo l’ha sempre protetta: “Nel bene e nel male restiamo quel che eravamo”, conclude Franco. I monti e le dune alle spalle, il mare davanti. Aggiungi che in cielo, per fortuna non nei mesi estivi, giocano alla guerra i jet e gli eurofighters della base aeronautica di Capo Frasca ed ecco, il quadro è completo.
Gli aerei arrivano in pochi minuti, come gabbiani d’acciaio, decollando da Decimomannu. Capo Frasca e il mare di costa Verde sono il loro poligono di addestramento. Pochi minuti, il suono di una mitraglia ormai virtuale e un rombo che divide i turisti col naso all’insù, dagli abitanti che al massimo fanno spallucce. “Gli aerei? Sono ormai parte del panorama”, ci scherza su Antonio.
Triglie, aragoste e mare basso
Chinato sulle reti forse lui non ne sente nemmeno il rombo. L’indotto della base militare sono ancora un elemento importante dell’economia dei luoghi, anche se le evoluzioni dei jet non sono proprio una carezza per l’ambiente. “In mare davanti alla base possiamo andare a pescare solo nel week end”, spiega Mario che in settimana pesca più a sud o molto al largo. “Triglie, aragoste e anche lo spada”.
L’alternativa è per tutti l’acqua bassa dello stagno di Marceddì. Già, la Costa Verde in Sardegna sorprende ancora e a settentrione, dove termina la provincia del Medio Campidano e comincia quella di Oristano, dove la Sardegna si regala anche un ulteriore baluardo a difesa dei suoi tesori.
Gli stagni e la bottarga
Da Marceddì, passando per Arborea fino a Cabras e al Sinis, è un fitto sistema di stagni a caratterizzare il paesaggio. Marceddì è la porta di entrata di questo regno: un ponte che sarebbe solo pedonale costringe ad un lungo periplo le auto anche se il passaggio di una vettura alla volta è quasi tollerato e sancito da un accordo non scritto. “Ci si guarda negli occhi e si decide chi parte primo”, sintetizza Mario, senza farne un problema.
Nella laguna si pesca in ginocchio con stivaloni di gomma e un piccolo marchingegno, tipo specchio, che indaga i fondali. Tutto dipende dal vento che regola, in entrata ed in uscita, le correnti del mare e i suoi capricci. Così c’è chi viene a pescare solo nel pomeriggio per arrotondare col primo lavoro, o semplicemente per arricchire il menù della cena, e chi lo fa di mestiere. Arselle, vongole, orate e muggini da bottarga, l’oro di questi luoghi dove fioriscono, ma timidamente, i primi ittiturismo.
Le bonifiche e Arborea
Ad Arborea il mare si allarga, ma resta basso e grigio. A portare il colore pensano i fenicotteri che la gente di qui ancora chiama “S’Ena arrubia”, i signori rossi, come il più grande stagno “scampato” alle bonifiche di Mussolini che si inventò questa cittadina per emendare gli afrori e il clima malsano della laguna. La chiamò Mussolinia, ma durò poco. Oggi nel nome ricorda semmai la grande Eleonora D’Arborea, la governatrice che regalò, fin dal Medioevo, all’isola leggi e indipendenza.
Arborea sembra un errore: ha strade ortogonali quasi come a New York ma senza grattacieli, campi di grano ordinati e stalle con mucche pezzate che sembrano teletrasportate dalla Pianura padana. I cognomi degli abitanti rivelano le immigrazioni da Friuli Venezia Giulia e Veneto, eppure in fondo ad ogni strada c’è ancora il mare che gioca a confondersi con gli stagni.
Genti diversi per la Costa Verde in Sardegna
“Hanno provato a cambiarci, ma ormai chi ci riesce più?”, spiegano dalla locanda sulla spiaggia che in carta ha mantenuto con fierezza sia i più tipici gnocchetti malloreddus sia polenta e faraona. Perché la Costa Verde in Sardegna è anche questo: mucche padane e dune africane. Già, il bello della costa Verde sta anche qui: la natura l’ha dotata di grandi armi da difesa, dalle dune di sabbia, ai monti, dal mare, agli stagni.
L’uomo ha provato ad ”inciderla” e lei ha risposto “brevettando” uno dei coltelli più famosi. La storia ha provato a modificarne il volto, sia scavando miniere, sia bonificandone i profili delle coste e pure solcandone i cieli con grandi aerei. Eppure non è servito a nulla: bastano poco più di 70 km, da Arbus ad Arborea, per capire che lassù in montagna avevano ragione: il mare c’è anche quando non si vede.
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