Tutta colpa di Alessandro Manzoni. Che ora basta un niente, solo accennare al proverbiale “ramo del lago di Como”, per scatenare annoiate reminescenze da ginnasio o borbottii astiosi verso la tetra Lucia piangente. Eppure, in una giornata di sole seduti in un’insenatura, quando dal ventre dell’onda sino alla cima del monte si inseguono tutte le possibili sfumature del verde non c’è davvero nulla di meglio, per innamorarsi del lago, di una sosta golosa davanti ad un fumante piatto di riso col pesce persico. E se la pudica Mondella, testarda e tremante, continuerà a rifiutare anche un semplice brodo, peggio per lei. Noi, non ascoltiamola e aspettiamo l’ora del pasto: mangiare a Bellagio vorrà dire fare il pieno dei sapori del lago: una cucina povera, semplice, tutt‘altro che aristocratica, vi diranno i gourmet. Ma non fateci casi – come ai pianti di Lucia – visto che, bizzarro contrappasso, le rive di questo lago sono uno dei luoghi di villeggiatura più blasonati al mondo. Lo sono ora, è ovvio, che il fascinoso Clooney è di casa con la sua moto cromata e le sue fidanzate dalla coscia tornita così come ieri quando i tycoon di Las Vegas – e non serve dire altro – per scegliere un simbolo per “l’hotel degli hotel” hanno puntato il dito e i dollari su Bellagio. E ancora di più lo è stato in epoca non sospetta quando anche i romani – che sapevano trattarsi bene – venivano a villeggiare sulla punta del promontorio.
Dove mangiare a Bellagio: la pesca e la tradizione
E quindi facciamolo anche noi: veniamo a mangiare a Bellagio, la perla del lago. Una perla anche saporita. Grazie anche ad un piccolo pesce argentato che qui è diventato un mito. Molto più di Clooney. In italiano si chiama agone ma da queste parti tutti lo conoscono come misultino. Presentiamoci e facciamo amicizia anche noi: “L’agone si pesca tutto l’anno e poi si conserva con una tecnica antica, poco mediterranea – spiega Cristian Ponzini, patron di “Silvio”, l’osteria “evoluta” che, a Bellagio da cinque generazioni porta avanti la pesca e la lavorazione del pesce. Le cinque generazioni non sono citate a caso: qui la tradizione conta ancora. E quindi ecco come facevano – e come fanno i pescatori di Bellagio: i pescetti, appena pescati, vengono puliti con una mossa rapida del dito (e una volta, la parsimonia allora era di casa, veniva mangiato anche il fegato per una preparazione ora quasi smarrita) e allineati in un tino di stagno con sale per almeno 48 ore (qualcuno dice essere questo contenitore, chiamato missolta, a dare il nome al pesce lavorato.
Ma così come accade ogni volta che si ha a che fare con i miti le etimologie possibili sono legione. E nel dosaggio del sale c’è uno dei segreti meglio custoditi del prodotto. Prima che sole e vento siano chiamati a fare il resto. I pesci infatti vengono esposti all’aria aperta su rastrelliere dove, per un periodo compreso tra i due e gli otto giorni, finiscono di maturare. “Ed è qui che la natura fa la selezione – prosegue Cristian Ponzini. – Se il pesce non è perfetto dopo quel tempo lo si capisce. E va buttato. Insomma, a lavorare è la natura. Perché l’evoluzione massima sta nel passato anche se poi è la mano dell’uomo che fa la differenza”. Una differenza che va assaggiata. Ma con calma. L’ex agone, ora quasi diventato misultino, finisce nelle confezioni di metallo dove per novanta giorni (almeno) prosegue la sua lenta evoluzione. In attesa della mano del cuoco e di una ricetta semplice e perfetta: i misultini infatti vengono scottati sulla griglia bollente, spruzzati di olio e aceto, e serviti con una polenta che, almeno a Bellagio, si chiama “toc” ( è semplice: si chiama così perché si mangia con le mani, quindi “si tocca”) e che oltre la farina prevede la ricca dote di burro e formaggio. Con l’aggiunta di un bicchiere di rosso, certo meno aspro di quello di un tempo, anche il lago che già è stupendo, diventa più bello. E magari ci scappa pure una fetta di miascia, la torta tipica di questi luoghi a base di pane raffermo e frutta secca. Il benessere è assicurato.
Dove mangiare a Bellagio: sapori a chilometro zero
Peccato però che ormai a pescare questo pesce siano rimasti in pochi. “Oggi a Bellagio sono rimaste un paio di famiglie a pescarlo e questa media si ritrova in ogni paese rivierasco. E’ un’attività spesso familiare che soddisfa il fabbisogno dei locali, ma che difficilmente arriva alla grande distribuzione”. E quindi non resta che venire ad assaggiarlo qui. Ricordando che il chilometri zero non li abbiamo inventati noi: ma è stato così per secoli. E che venire a mangiare a Bellagio vuol dire mangiare qualcosa che si mangia solo qui. E i cuochi lo ribadiscono con fierezza: il misultino non è bello ma buono. “E i sapori veri vanno preservati – spiega Antonio Zambra, cuoco della “Trattoria del porto” di Careno di Nesso, un borgo gioiello su un imbarcadero, a trecento scalini dalla strada. – Prendiamo il riso con il pesce persico. Qui tutti sanno non deve mai essere un risotto. Ma quello che si chiam riso in cagnone. La ricetta nasce dalle case della gente semplice che il riso lo bolliva in acqua e lo condiva col burro. Una preparazione completamente differente da quella del risotto. In questo modo si gusta tutto il sapore del filetto di persico che non deve essere fritto: ma solo passato in burro e salvia“.
Dettagli e fisime da filologi? Assolutamente no. Che la differenza nelle cucine popolari come questa spesso la fa proprio la semplicità. E la difesa ostinata per quello che arriva in cucina. Uno stile che forse stride con certi recenti cedimenti “gossippari” del lago. Tanto che i veri “lagheè“, gli abitanti del Lario, neppure cedono al gusto di sbirciare villa Oleandra, a Laglio, rifugio blindato del Clooney abituati come sono ad aver visto passare presidenti come Roosevelt e Kennedy oltre a re, kaiser e imperatori assortiti.
I lagheè, la gente che su queste rive è nata e vive, preferiscono le scale ripide e sempre un po’ zigzaganti nei borghi, i sentieri silenziosi fiancheggiati di muri di pietra che dalle sponde salgono verso il monte, il volto più ispido e sincero di “quel ramo” del loro lago. Lucia, sempre drammatica, ogni tre capitoli scoppiava a piangere mentre loro non cedono al melodramma. Loro sanno qual’è il posto giusto per fermarsi a mangiare a Bellagio. Poi, finito il pranzo, si alzano a buttare un occhio sull’acqua. Non lo ammettono e non si fanno vedere: ma ogni volta pensano che è proprio bello.
Gli indirizzi per mangiare a Bellagio
Ristorante Silvio
Via P. Carcano, 12
Bellagio (Co)
031 950322
Il ristorante Silvio è stato fondato nel 1919 annesso ad un albergo offre la possibilità di mangiare pesce pescato direttamente dal titolare Cristian che alla sera, dopo avere servito i clienti scende a deporre le reti. Pergolato esterno per le giornate estive e imperdibile la lunga serie di antipasti a scelta dello chef sulla base del pescato del giorno.
Alle darsene di Loppia
via Melzi d’Eril, 1
Bellagio
031 952069
Chiuso il lunedì
Tra gli indirizzi giusti per mangiare a Bellagio c’è questo locale fuori dal borgo e affacciato proprio sul lago, a fianco di un porticciolo. L’atmosfera è calda e accogliente e soprattutto d’estate, sotto il bersò, si respira una atmosfera unica. Cucina che parte dalle tradizioni del luogo ma che grazie alla attenta mano dello chef si allarga e vola molto più in alto. Da provare i crudi di lago (sorprendono) e gli gnocchi con il misultino. Ampia carta dei vini e servizio molto attento.
Trattoria Baita Belvedere
Chevrio di Bellagio
031 964773 – – 339 8240771
D’estate chiuso il martedì – Nel resto dell’anno aperto il fine settimana
Si chiama baita e c’è un motivo: per arrivare occorre andare verso il passo del Ghisallo e affrontare anche un piccolo tratto di strada sterrata. All’arrivo la vista ricompensa della fatica: si vede tutto il lago dall’alto. Si mangia in una bella terrazza a picco sopra Bellagio e i piatti sono quelli del passato: ricchi e calorici e saporiti. Polenta e gallina lessa, misultino e pasta al cinghiale, antipasto contadino, formaggi fatti in casa. C’è anche annessa una azienda agricola e l’atmosfera è piacevolmente retrò.
Trattoria del porto
via al Pontile 26
Careno di Nesso (Co)
031 910 195
Chiuso il lunedì
Una graziosa trattoria con terrazza a due passi dall’acqua e in un borgo (un po’ faticoso da raggiungere: ci sono trecento scalini ma ne vale la pena) reso magico da una chiesetta protoromanica, un cuoco appassionato della cucina del territorio e il meglio della cucina del lago. Affidatevi ai consigli di Antonio Zambra e riposatevi dopo il pranzo aspettando il battello che ormeggia proprio di fronte.
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