Nikos, con ruvida fierezza, da vent’anni smazza caffè shakerati e insalate horiatiki nel suo locale con un tetto d’alberi nel cuore del paese. «In questo tempo l’isola è molto cambiata, una volta era meglio», pontifica nell’italiano sibilante retaggio di quando studiava a Bologna. Per rispetto dell’oste i clienti fingono di assentire e si concentrano sulla feta: ma lo sanno tutti che quella di Nikos è solo una posa da innamorato. Di uno che finge di fare il duro per non fare vedere l’occhio che luccica quando pensa alle spiagge di Folegandros.
Folegandros, piccola e bellissima
Ecco che allora, per capire quest’isola, vale la pena di partire proprio da qui: da questo locale senza pareti, dove con la colazione si ascolta Chopin, e dove imperversa quest’aria fintamente burbera. Che è un po’ lo stile dell’isola, geograficamente vicina, ma caratterialmente lontana dalla patinata mondanità di Mikonos o dall’ostentazione piaciona di Santorini. Non fraintendete però: Folegandros è bella. Anzi bellissima. E le spiagge di Folegandros ti fanno innamorare. Solo che non è vezzosa, non si atteggia. Anzi, finge di non curarsi, si schermisce. E proprio per questo alla fine ti prende.
Comincia a circuirti già quando sbarchi e t’aspetti, come quasi ovunque nelle Cicladi, un fondale da presepe di cubi bianchi e finestre azzurre. E invece Karavostasis , il porto, si limita ad una manciata di case di cemento, un porticciolo, una spiaggia dimessa di ciotoli inghirlandati di tamerici. Dietro soltanto una parete ruvida di rocce poi, una strada in salita in un canyon che fa ansimare il vecchio autobus – uno dei due che servono l’isola – che fa la spola tra il molo e la Hora, il cuore dell’isola. Che, però – sorpresa – non è sul mare anche se è immerso nel blu. Ma è blu di cielo.
Le spiagge di Folegandros: dall’alto della Chora
Hora infatti ti da il benvenuto da una terrazza a strapiombo su una falesia, in un gomitolo di vicoli e di piazze appollaiati molto in alto. E le onde giocano a inseguirsi nella schiuma assai più in basso, dove le spiagge di Folegandros quasi non si vedono. Una volta arrivati qui sarà tutto in discesa. E non è solo una questione di pendenze.
Lo sarà perché il resto di questo sasso lungo poco più di dieci chilometri e alto quattrocento metri vi si spalancherà davanti dolcemente. E soprattutto perché da qui sarà facile lasciarsi andare e prendere il tempo a quest’isola dalla fisionomia spigolosa. Fieramente greca. Anche se, paradosso apparente, sono stati proprio gli italiani, all’inizio degli anni ’80 a «scoprire» quest’isola bella e possibile. Che si concede solo poco per volta.
Il risultato è che qui la gente viene e spesso torna, che dopo pochi giorni ci si finisce per conoscere e riconoscere nelle brevi passeggiate tra i vicoli. E che non è raro assistere ad entusiastiche rimpatriate tra conoscenti che a furia di sbarcare qui sono diventati amici. E l’ouzo benedice gli incontri tra i tavoli delle taverne come spesso accade in Grecia.
Le stesse taverne che nella sera di Hora si trasformano nei fondali perfetti di un archetipo d’isola: il paese ha respinto all’esterno le auto e quei 150 metri incastrati tra chiese candide, piazze sghembe, scale e case spruzzate dalla sfacciataggine fucsia di una bouganville si popolano di gente che si da appuntamento per mangiare capretto allo spiedo e spiedini. Chi cerca l’etnico di maniera trova invece la rustica concretezza dei pastori, chi insegue la moda del pesce si piega ben presto alla tradizione della gente di monte.
Rakomelo e musica
Ovunque fumi e profumi di griglia, chiacchiericcio, risate composte. Prima che tutti – o quasi – finiscano all’Astarti, un locale di forse tre metri quadri che mesce senza sosta rakomelo e trasmette rebetiko. Il rakomelo è grappa bollente in cui evaporano miele e spezie per una miscela calda e struggente che ogni tanto tradisce, subdola della sua stucchevolezza. Il rebetiko è la musica del cuore, quella che esprime il cuore dei greci e che i greci cantano con il cuore. Insieme note e bicchieri spingono la notte verso l’alba e la gente verso il letto. Che l’alba arriva presto e il sole fa brillare le case del vecchio castro veneziano. Ma non solo.
Le spiagge di Folegandros, un premio da conquistare
Si, perché l’isola, 75 chiese e 660 abitanti, 2000 tra pecore e capre e 170 vacche, ha ovviamente i piedi nell’acqua. tanto che le spiagge di Folegandros sono splendide. Che però, col solito piglio fintamente ruvido, non sono mai a portata di mano. Per conquistarsi la sabbia e il mare, occorrono baldanzose sgroppate sugli scooter e vigorose camminate sul ciglio del blu. Per carità: nessuna impresa da scalatore o sfida d’atleta.
Solo la piacevole fatica di lasciare la roccia per arrivare all’acqua, un accenno di fiatone prima di lasciarsi andare al fresco dell‘onda. Aghios Nikolaos, Livadaki, Katergo: ognuna delle spiagge di Folegandros ha uno stile e un’atmosfera unica. C’è quella che conquisti con un breve circumnavigare con la barca, come Katergo, e quella che si fa inseguire per 20 minuti di cammino prima di offrire acqua trasparente, una chiesetta candida e un piatto di sgombri appena pescati. E i fratelli Takis e Paris, faccia da pirati e accento toscano, vi racconteranno senza fretta le storie dell’isola.
Tranne nei giorni prevedibili del Ferragosto, quando anche quest’isola si affolla e spesso risuona la parlata tricolore, in estate qui sbarcano prevalentemente francesi e scandinavi. E soprattutto greci. Che non disdegnano, a ragione, le lunghe passeggiate e l’ospitalità di un’isola che propone alberghi da brivido (per bellezza, non per prezzo) al fianco di stanze di cicladica semplicità. Un’isola dove la pioggia per mesi è un miraggio e la natura ha la brusca rigidezza del meltemi, il vento che a luglio e agosto spettina le spiagge di Folegamdros mentre montagne di rocciosa terra arsa sono state contese al vento con una lotta estenuante fatta di muretti e sentieri.
Un viaggio nel tempo tra i paesi
Gli stessi che si dispiegano a fianco della strada asfaltata, la sola che taglia l’isola, che segue il crinale tra mille rivolte e ripensamenti, prima di arrivare a Ano Meria, l’altro paese di Folegandros. E anche in questo caso le case guardano da lontano il mare. Qui, scendendo dallo scooter e fermandosi ad ammirare le sfumature d’azzurro in lontananza sembrerà di avere anche fatto un viaggio nel tempo, ad un’epoca remota – ma qui ancora vicina – in cui la gente si sposta a dorso di mulo e dove è bello fermarsi in una taverna candida e accogliente a succhiare olive deliziose avvolti dal vento.
Ammirando in distanza le sagome delle altre isole che emergono dal mare o sfiorando con i piedi le spiagge di Folegandros viene in mente quello scrittore che parlando di questa isola disse che «con la luce che hai qui tutte le brutture devono essere cancellate». Affogate, appunto, nel bianco e nel blu.
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