“Il Marocco non è un miraggio. Quello che vede è tutto vero, mi creda”. Mette le cose in chiaro, Rashid, anche se, per lavoro, vende illusioni con quell’improbabile mercanzia allineata a bordo strada e quelle rocce color rubino tagliate in due come melograni. Hanno tinte così forti da sembrare finte. Lui se ne sta appollaiato su un muretto a picco sui monti dell’Atlante e al sopraggiungere di ogni auto di un turista in viaggio in Marocco da Marrakech al deserto, alza le braccia con gesto meccanico per mostrare i geodi che dice di aver estratto da solo dalla terra.
Il cuore di quest’angolo di Marocco, a poco più di un’ora da Marrakech e tre ore di volo dall’Italia, è rosso fuoco, ma, poco sopra, i contrafforti dell’Atlante possono essere innevati fino a tarda primavera.
Viaggio in Marocco: la montagna da scalare
Con qualunque tempo Rashid se ne sta li, sulla “sua” curva, quella più impervia dove sa che le auto faticano e allora rallentando, vedranno i suoi geodi. “Il Marocco non è un miraggio: dopo il passo l’inverno si ferma, Madame, e comincia la primavera”.
Questo è il suo buon viaggio e profuma di poesia e di verità. Superata quota 2200, dopo Taddert e il valico del Tizi n’Tichka, l’inverno finisce davvero e cominciano le rose. Prima è solo un profumo fra le “palmeraie” e il fango con cui i berberi hanno impastato per secoli la loro storia, plasmando città fortificate, gli ksour, e le loro case, le kasbah. Poi i giardini di rose spuntano davvero e si prendono la scena.
La planata dalle vette dell’Atlante sulle oasi di Skoura è rapida e piacevole, pur tenendo presente di rispettare alla lettera i limiti di velocità per i quali la Guardia reale marocchina e la “gendarmerie” sembrano avere una pignoleria a dir poco ostentata. Questo può essere l’unico imprevisto in un viaggio in Marocco che pare una storia di sorprese già scritte. Come quella della kasbah Aimridil vecchia di 300 anni e piena di travi tenaci e cigolanti: dai suoi terrazzi in pisè, una “malta” che unisce fango e paglia, si gode la vista di ciò che ci attende.
Oltre il deserto arrivano le rose
Non lontano il villaggio moderno di Kelaat M’ Gouna brulica di “teleboutique” dove si fa la coda per chiamare tutto il mondo, e negozietti che vendono acqua di rose e cosmetici ricavati dalla lavorazione della “Damascena”, la rosa più preziosa.
Questo sì, è un miraggio, senza spine e senza stagione, di quello che ormai è il nuovo business per l’intraprendente gente di qui: la “valle delle rose” si apre alle spalle della cittadina e si incunea per 30 km lungo il “wadì”, il fiume, che arriva a Bou Tharar. Delle rose si colgono le gemme per un mese in primavera, solo all’alba o al tramonto, quando c’è meno umidità. Ad essiccarle sui tetti delle kasbah pensa il sole. “Finite le rose” ci spiegano “non ci perdiamo d’animo: ancora qualche mese, ed in autunno si fa la stessa cosa con i datteri”.
Quando maturano sono grappoli vermigli che grondano dalle palme. Con un bastone li si stacca e li si “accompagna” a terra senza danneggiarli. Ad ogni dono della terra, sia esso un fiore come la rosa o un frutto come il dattero, in questo angolo di Marocco si festeggia con festival che fa riversare tutti in strada. Anche lassù, dove il viaggio riprende, lasciata la “valle delle rose”, per rimontare le gole del Dades e del Todra.
Viaggio in Marocco: l’inizio delle gole del Dades
La Natura si è sbizzarrita dove il chiasso di Boumalne du Dades, villaggio un po’ sgraziato e sghembo adagiato sul dorso della montagna, anticipa l’ ingresso ad un mondo che, per contro, è tanto aspro quanto perfetto e silenzioso.
Le gole del Dades sono un paradiso di 63 km: oltre il villaggio di Msemir serve un fuoristrada per continuare sulla pista sterrata. Aver, però, passato in rassegna valli profonde e “farcite” di palme e poi canyon color ocra può saziare la voglia di meraviglia che si rinnova l’indomani alla scoperta del Todra, un seconda gola che, dalla disordinata Tinherir, si inerpica per 15 km fino a stringersi a pochi metri di larghezza.
Quando il fiume è carico si mangia tutta la strada ed è qui che si fermano i climber più accaniti che approfittano di vie di arrampicata di ogni grado di difficoltà. Qui con la macchina fotografica la gente sta per ore immobile pur di catturare l’attimo esatto in cui il sole entra come una lama nella gola.
Oltre, intanto, il mondo prosegue, anche se rallenta, e viaggia a piedi come fa Jamilah, una ragazza di Tamtattouchte, 15 km più in su sulla montagna, da percorrere ogni giorno accompagnata dal suo mulo. Nel suo villaggio tesse tappeti e foulard, ma a noi mostra il suo tesoro più bello.
Il sorriso dei berberi
Lo chiama con fierezza “la banque berbere”, la banca berbera, e le sue mani dipinte di henné dischiudono un curioso bracciale pieghevole in argento. “Un gioiello da indossare o uno scrigno per i risparmi”, spiega solenne, allargando il sorriso di pochi denti. E’ difficile entrare in contatto con questa gente, capire come i berberi, che ancora non si sentono del tutto marocchini, possano vivere con poco, circondati da una geografia così imponente.
Il sorriso aiuta e aiuterà anche oltre quando, riguadagnata la via principale che corre verso Est e poi piega a Sud, si superano gli ultimi avamposti urbani di Erfoud e Rissani e ci si inoltra nell’hammada, il deserto nero, ricco solo di pietre e fatica.
Viaggio in Marocco: ecco le dune
L’Algeria non è lontana e con il suo confine ancora instabile regala al Marocco un’altra meraviglia e una stagione ancora diversa: è quella calda del deserto e degli ultimi nomadi che se ne stanno accampati, magari con telefonino e motorino ben in evidenza, ai piedi dell’Erg Chebbi. Questo scampolo di mondo, che del Sahara è un antipasto, dona scorci e dune color albicocca a chi sappia attendere l’alba e non aver fretta al tramonto. Nel villaggio di Merzouga secolari cataratte permettono l’irrigazione e la coltivazione di tutto ciò che serve per non rimpiangere di essere nati qui.
Da qualche decennio, poi, il turismo ha modificato, pur in parte, le abitudini: dune e silenzio si solcano in fuoristrada o a dorso di dromedario. Questo è il punto di arrivo di un viaggio in Marocco ma anche il grande vuoto che la Parigi – Dakar attraversava un tempo e dove ancora oggi si rodano potenti fuoristrada lanciati a piena velocità.
Qui, ogni aprile, si corre però anche a piedi con la “maratona delle sabbie”: 240 km su un percorso che viene svelato solo poche ore prima della partenza. “Un tempo i francesi avevano aperto una miniera, poi si son portati via anche i macchinari”, spiega rassegnato Ahmed che con i fratelli manda avanti un “riad” ben avviato, con tanto di piscina e sci per chi voglia cimentarsi su queste “crode” sabbiose.
Dal deserto agli altopiani
Il deserto è l’ultima dimensione, prima di rientrare verso Marrakech, attraversando l’altopiano del Bou Gafer, passato alla cronaca come teatro della strenua resistenza marocchina all’occupazione francese negli anni Trenta. Scorci da grandi altopiani americani accompagnano giù fino alla rinnovata pace dei palmeti della valle del Draa.
Poco oltre, a Zagora, il mondo sembra finire una seconda volta: il deserto torna a reclamare spazio e un cartello, che per ogni visitatore è diventato un must da fotografare, ricorda che a dorso di dromedario in 52 giorni si può arrivare a Timbouctou nel Mali.
Viaggio in Marocco: piazza Djema el Fna
Nella direzione opposta, invece, in due ore si può arrivare a Ouarzazate dove sostare alla kasbah di Taourirt, una delle più intricate di tutto il paese, oppure ammirare Ait Benhaddou con le sue suggestioni cinematografiche. Poi a ritroso, con un’altra mezza giornata di strada, il filo del percorso si riavvolge: il viaggio in Marocco torna al punto di partenza.
Ed ecco la città con tutto quello che comporta: il silenzio lascia il posto ad un souq di possibilità. La città è un caldo abbraccio e non sempre ci si sente pronti alla sua stretta repentina. Tentacolare, illogica, perdersi fra le sue viuzze e suoi afrori è l’unico modo per ritrovarsi. Cento volte cercherete la via, altrettante la perderete, scoprendo però nuovi scorci e mille occhi che vi guardano pazienti e comprensivi.
Via dalla pazza folla i cortili freschi dei riad, nascosti da alte mura, sono il necessario refrigerio dopo la full immersion in questo labirinto di sentimenti.
Il tuffo nella varia umanità di piazza Djema el Fna toglie il fiato: la sera milioni di piccole lanterne illuminano le storie di tutti, fra chi danza, chi suona, chi vende, chi scommette e chi semplicemente tira avanti.
Il giorno ognuno ricerca la sua grande occasione: si vende, si tratta e soprattutto ci si sente al centro del mondo. “Sembra un miraggio, vero?”, ci apostrofano allungandoci un serpente per un foto. E invece, è tutto vero. Rashid lassù, su quella curva, aveva ragione.
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