E’ il modo migliore. Visitare le Cinque Terre a piedi: la fatica vi infiammerà l’appetito. In più è solo camminando sul crinale, sporgendovi tra vigne testarde sferzate dalla carezza del basilico e del timo, che potrete capire che la dolcezza turchese del mare è solo illusione. Almeno per quelli che hanno i piedi piantati per terra. Anzi, conficcati nella roccia. “Lo so che sembra strano dirlo. Ma quelli delle Cinque Terre sono paesi di montagna. Con una anima di pietra”, riflette Maurizio Bordoni, chef del ristorante “Cappun Magru” di Groppo di Manarola.

Da qui il mare è forse a meno di cinquecento metri, appena oltre una balza. Ma l’onda è un presenza discreta. C’è ma senza farsi vedere. Eppure è vero: in questi luoghi nel passato, prima dello tsunami del turismo, si è sempre lavorata la terra. La poca ricchezza veniva dal bosco e i sapori erano quelli dell’orto, dell’aia e della stalla. Con il mare c’è sempre stato un rapporto di amore e odio. I vecchi lo spiegano senza perdere troppo tempo: in dialetto le parole che indicano il “mare” e il “male” hanno lo stesso suono.

Visitare le Cinque Terre

Visitare le Cinque Terre: voltare le spalle al mare

Un caso? Per nulla. Chè tra queste scogliere a picco coi più bei borghi  del mare di Liguria le onde hanno da sempre regalato solo rombo di vento e di burrasca, sibilo cattivo della mareggiata che s’accanisce contro le rocce allontanando le genti dalle coste. Spingendole più in alto, verso i crinali, verso i sentieri che rigano il monte. Lassù dove si srotolano le stradine tortuose che portano a quei santuari che, visti dal mare, sono solo puntini lontani. Visitare le Cinque terre significa anche salire, non solo immergersi. Ora, che i treni affollati scaricano senza sosta visitatori in infradito da ogni parte del mondo sembra quasi incredibile. Ma queste sono zone che hanno conosciuto la durezza di una vita quotidiana fatta di poco. Quasi di niente.

E che hanno sempre puntato lo sguardo verso il crinale come rifugio dove guadagnarsi da vivere, raccontano quelli coi capelli grigi. A cui fa eco Cristiane Utsch, tedesca per nascita e ligure per amore, anche nella cadenza, indecisa tra la lenta cantilena del dialetto e le ruvide consonanti della parlata materna. E a suo modo, anche in questo caso, è una battaglia tra terra e mare. “C’è una immagine che racconta questo contrasto meglio di tante parole: ed è quella delle vecchie contadine con la gonna scura ripiegata in grembo che zappavano caparbiamente le terrazze di terra magra riportata con fatica a mano per dare nuova vita allo strapiombo sul blu. Ma lo facevano girando sempre le spalle al mare“.

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Visitare le Cinque Terre: vino, cozze e acciughe

“Ora le persone vengono a visitare le Cinque Terre sognando una vacanza al mare e si mettono a tavola cercando le onnipresenti orate, i soliti branzini. Ma qui a parlare di pesce significava citare quasi esclusivamente le saporite acciughe che si sono sempre pescate a Monterosso – prosegue Bordoni che alla passione per la cucina abbina un sincero amore per la sua terra. Da capire e riscoprire con rigore da filologo. – Le acciughe però qui, come negli altri borghi, arrivavano via terra, grazie ad una donna magra come un pesciolino che, lentamente, passava di casa in casa portando il pescato che poi ogni famiglia salava e preparava”.

E stiamo parlando di un rituale antico, che ancora regge per fortuna al mutare dei tempi, mentre ormai quasi perduto ricordo sono le discese in gruppo delle donne dei paesi abbarbicati in alto che sciamavano giù verso le onde: dove con le federe dei cuscini strette in pugno, preziosa bisaccia da riempire, razziavano dagli scogli collane di cozze con cui condire la pasta del giorno di festa. Per poi risalire verso il bosco, i ripidi campi. Verso le terrazze ispide di vigneti affacciate a strapiombo.

Quelle sono le stesse vigne che si specchiano ancora oggi sul mare ma che occorre salvaguardare per difendere l’intero territorio. Le viti qui sono coltivate nelle terrazze protette dai muretti a secco innalzati in secoli di fatica da uomini mai domi. Per ogni muretto che cede, per ogni vite che viene abbandonata, è un pezzo delle Cinque Terre che rischia di franare. Perché le Cinque Terre sono splendide, ma fragili. E le frane sono una maledizione che fa il paio con quella delle mareggiate.

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Visitare le Cinque Terre: il Patrimonio dell’Unesco

Un destino amaro per questo territorio che l’Unesco ha voluto “Patrimonio dell’Umanità” e dove, in pochi anni quasi tutto è cambiato: nonostante il volenteroso impegno del Parco nazionale che si impegna per la tutela delle Cinque Terre ora queste rive non vivono certo più di fatica aspra di contadini. Ma dei dollari certo poco nostrani di turisti arrivati da lontano per percorrere sentieri affacciati su un mare che commuove, quando dalla svolta di un sentiero l’azzurro pare dipinto. E sembra impossibile possa avere fatto paura. Ora arrivano frotte di americani, canadesi. Persino australiani e cinesi che vengono per visitare le Cinque Terre e per mettersi in posa per alcune delle foto più invasive sui social di mezzo mondo. Ma ben prima che ragazzi in bermuda invadessero questi borghi una volta arrivava gente da altre spiagge d’Italia. E veniva qui non certo per villeggiare. Ma per pescare.

A Vernazza tre fratelli calabresi, a Manarola due immigrati dalla Campania: la storia recente delle terre piccole affacciate su questo mare grande è fatta anche dell’eredità di immigrati arrivati a vivere della fatica della rete. In un mondo di montanari preoccupati dall’idea di tuffare i piedi nell‘acqua.
Ancora una volta la stessa storia: la gente non abituata alla pesca, spaventata dall’assenza di approdi e dalla forza del mare ha preferito salire verso il crinale. La riprova più evidente è Corniglia, l’unica “terra” che al mare ha rinunciato in partenza. E si è arroccata a oltre cento metri sul mare. O, se si preferisce, a 377 gradini sopra la strada ferrata che collega in un lampo questi brandelli di paradiso mediterraneo.

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Visitare le Cinque Terre: cinque lingue lungo la via dell’Amore

Insomma, il paradosso regna sovrano. Dal Nebraska o dal Queensland si parte per un viaggio che porta sino a quaggiù, dove il sogno è visitare le Cinque Terre e tuffarsi in un archetipo di mare Mediterraneo. Ma senza sapere che qui è la terra che conta. Mentre i sentieri oggi percorsi da scandinavi in pedule e racchette da cime alpine sono le autostrade sterrate profumate di salsedine che un tempo separavano mondi lontani.

Tanto lontani che persino la lingua cambia. Nel mondo nostro fatto di reti globali pare una assurdità: ma ognuna delle Cinque Terre ha un proprio dialetto che spesso presenta differenze profonde. Il fatto curioso che le dissonanze maggiori si trovano tra Riomaggiore e Manarola. Che sono proprio i due paesi più vicini, uniti da quella che tutti conoscono come la celebre “Via dell‘Amore”.

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Paesi dove nei caldi e affollati d’estate, è meglio muoversi in treno, saltabeccando tra stazioni incise nella roccia, ma soprattutto a piedi, lungo sentieri buoni per tutte le gambe dove fare andare lo sguardo tra le diverse sfumature del blu di cielo e di mare. E dove anche il rosmarino e l’agave svelano che pure le foglie conoscono le sfumature. In questo caso tutte quelle del verde. Dopo la camminata poi è bello fermarsi per regalarsi un respiro lungo e un boccone. Fosse anche solo di focaccia da sbocconcellare mentre si guarda il mare. Che, come dice la canzone, “fa paura perché si muove anche di notte. Non sta fermo mai”.

Senza dimenticare che anche solo sbranare una focaccia sulla ripida marina di Riomaggiore, tra le barche in secca, o sulle scalinate di Manarola diventa, per la magica atmosfera, qualcosa di diverso. Un tuffo in un mondo che sembra cristallizzato nel tempo. Un’emozione multicolore come le case che non potendo allargarsi hanno dovuto lievitare verso l’alto. Mentre torrenti un tempo impetuosi e ora imbrigliati scorrono sotto l’acciottolato delle strade.

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Visitare le Cinque Terre: la poesia del panorama

Poi verrà il tempo di rimettersi in cammino fino al paese successivo dove finalmente sedere di fronte ad una tavola per assaggiare sapori più intensi perché semplici. Come il pesto figlio del basilico profumato, i muscoli (il colorito nome locale delle cozze) ripieni, i ravioli.

Gonfi degli stessi sapori che profumano le scogliere. La scelta di locali è ampia, le terrazze incastrate tra piazzette e carrugi offrono viste da batticuore e quando, col calare della sera, le frotte dei turisti del mordi e fuggi svaniscono sui treni le Cinque Terre si riappropriano del loro silenzio appena rigato dal fischiare del vento. In quei momenti, mentre il vino bianco appanna il vetro di un bicchiere viene in mente quel “meriggiare pallido e assorto” che Montale, uomo e poeta di queste terre, rese immortale. Resta poi lo sguardo che fugge verso il largo, l’azzurro che vira nel blu quando il sole declina. All’alba torneranno gli instancabili camminatori sui sentieri, i contadini testardi sulle monorotaie che solcano le viti. Ma soprattutto “il palpitare lontano di scaglie di mare tra le fronde“. Detto così sembra una frase fatta. Ma da queste parti è poesia.

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