E’ come al supermercato. La differenza è che non ci sono gli scaffali. Ma soprattutto che nessuno ti blocca alla cassa. “Se voglio costruirmi una nuova casa taglio un tronco nella foresta. Se voglio i gamberi li pesco dal fiume. E per la frutta allungo un braccio e la prendo dalla pianta”. Già, proprio come al supermercato. Almeno secondo Jehudit Pwidja, capo tribù dei Napoemien, giusto un centinaio di kanak – i melanesiani originari di qui- sparsi in una jungla di banani e cocchi. A metà strada tra il passato e Noumea. Dove, al contrario, i market ci sono eccome. Insieme a negozi griffati, condizionatori ronzanti, pub chiassosi e ristoranti col birignao del Marais di Parigi. “Ma io sto meglio qui, nell’interno, nella mia foresta. Anni fa ero emigrato in Nuova Zelanda. Ma dopo qualche mese sono tornato. Come si fa a vivere in un posto dove il cibo si deve comprare e non si può cogliere?” Dargli torto? Difficile. Eppure, sfogliando la guida della Nuova Caledonia è di stranezze se ne trovano tante.

Guida della Nuova Caledonia: la bellezza degli antipodi

Perché in Nuova Caledonia di cose strane ce ne sono sempre. E spesso serve una premessa.  Già a partire dal nome. A battezzarla così, nel 1774, fu l’onnipresente James Cook sostenendo che gli ricordava la natia Caledonia, ovvero la Scozia. Visto che stiamo parlando di una manciata di isole in mezzo ad una piscina azzurro miraggio a due passi dal Tropico del Capricorno viene da pensare che l’esploratore avesse le idee un po’ confuse.

Eppure non è proprio così. Perché poi viaggiando e sfogliando la guida della Nuova Caledonia si capisce che  questa terra non è una sola: c’è la Grande Terre, appunto, un’isola lunga due volte la Corsica dove, in effetti, si incontrano cascate, boschi, vallate ripide e panorami da highlands, – ed è qui appunto che vivono i Napoemien. Poi ci sono le isole della Lealtà, l’archetipo più sfruttato del sogno tropicale con tutto il repertorio di sabbia, noci di cocco e coralli. E infine c’è l’isola dei Pini che – di nuovo un distinguo – sta pure in ammollo in un acquario multicolore ma deve il nome a curiosi alberi “colonnari” fatti come scovolini di abeti simil alpini. Insomma, grande è la confusione. Per questo la situazione è eccellente.

Guida della Nuova Caledonia: la sorpresa è garantita

Tanto che l’unica cosa da fare è andarsene in giro. Pronti a cambiare idea non appena ci si è convinti di averci capito qualcosa.
L’arrivo per tutti, in ogni caso, è sulla Grande Terre: dall’aeroporto internazionale di Tontouta alla città di Noumea sfiorerete una infilata di linde fattorie che paiono bretoni con giovenche pezzate e cavalli da tiro al pascolo. Se cercate esotismo alla Gaugain proseguite ad occhi bassi. La capitale poi, sorridente e ordinata, da il benvenuto spaparanzata tra le baie dei Limoni e d’Anse Vata che paiono invitare ad un pisolino sulla battigia.

Il primo pensiero, appena arrivati, è di strappare il biglietto di ritorno e rifarsi quaggiù una vita: il lungomare è pieno di gente che fa jogging, all’ombra delle palme gli uomini si sfidano alla pétanque, negli eleganti negozi vendeuse altezzose sciorinano campionari di perle colorate dei mari del Sud. Per i golosi i menu dei ristoranti spaziano dal fois gras ai sapori cinesi e vietnamiti. Peccato solo che le villette con vista mare abbiano prezzi al metro quadro da Costa Azzurra. Ma è logico: qui, in ogni caso, è Francia.

Una collettività francese d’Oltremare

Per la precisione “una collettività francese d’Oltremare sui generis“. Per capire cosa significhi servono – di nuovo- più dettagliate spiegazioni. In pratica il passaporto è lo stesso dei parigini ma la bandiera non è il tricolore bianco-rosso-blu. E la terra, come sostengono gli indipendentisti che ogni tanto ribadiscono il concetto a mazzate, appartiene solo e soltanto ai nativi e alle tribu dei kanak.

L’unico rettangolo di zolle legalmente francese, lo scoprirete nel vostro viaggio in Nuova Caledonia  è quello occupato dalle fondamenta delle caserme della gendarmeria. Les enfant de la patrie vanno bene se mettono mano al portafoglio. Ma per il resto il motto è “qui comando io“.

viaggio in Nuova Caledonia, dalla Grande Terre all'isola dei Pini

Guida della Nuova Caledonia. Bellezza e ricchezza

Anche perché, in fondo, la Grande Terre, pure senza battere cassa alla douce France, di ricchezze ne ha parecchie. Sopra e sotto la superficie. Nelle sue montagne, rosse come campi del Roland Garros, si scava tanto nichel da proiettare questo minuscolo paese di 230.000 abitanti al quinto posto tra i produttori al mondo. Così, nella provincia del Nord, ciclopiche miniere delle solite multinazionali hanno trasformato le vallate in calanchi incisi dalle ruspe e dalla avidità, ma la natura, sdegnosamente sicura di sè, sembra non essersene risentita poi troppo.

Bastano però  un paio di curve e gli escavatori scompaiono per lasciare il posto all’intrico della foresta o ai grumi di nodi delle radici di mangrovie. Il fatto che queste isole siano state praticamente isolate per millenni ha regalato alla Nuova Caledonia una tra le più ricche biodiversità al mondo. E tutti vi diranno che i cervi sono molto più numerosi degli abitanti.

Gli uni, a quattro zampe, stanno a brucare imperturbabili nel verde della macchia. Gli altri, i bipedi, li si incontra rilassati in placidi e minimali villaggi di case basse: due strade ad angolo retto, una banca, la farmacia e la bottega di alimentari. C’è sempre anche una chiesa color pastello e spesso un ponte di ferro ossidato. Quello di La Foa, sussulto di grandeur, porta la firma dell’ingegnere Eiffel, quello della torre. Ma è stato dismesso e ora l’edera, per nulla in soggezione, si allarga invadente.

viaggio-in-Nuova-Caledonia,-dalla-Grande-Terre-all'isola-dei-Pini---i-cowboy-locali

Tra Texas e Bretagna. Con la Polinesia nel DNA

Intorno, sparse sul cucuzzolo delle colline, spiccano poi fattorie abitate dalle comparse di Ombre Rosse. Filologicamente con cappellone, stivali texani e stalloni western. Voilà i caldoche, l’altra faccia dei nativi della Nuova Caledonia. Quelli col dna di pelle chiara e palla al piede. Se i kanak sono gli eredi dei melanesiani di pelle nera arrivati in piroga dalle Vanuatu più di 3000 anni fa, i caldoche sono i nipotini degli ergastolani spediti quaggiù in catene nel 1800. Tra di loro, a nobilitare il pedigree dei forzati, anche gli idealisti sconfitti della Comune di Parigi. A fine pena, è evidente, questi poveracci avevano preso gusto al caldo tropicale. E si sono fermati qui.

Anche se, una volta mollati i bouleverds per le palme, da galeotti e comunardi si sono trasformati nei cowboy del Pacifico. Con tanto di rodeo nella cittadina di Bourail dove, dal 1878 nella settimana di ferragosto, si catturano i vitelli col lazo, ci si sfida allegramente a segare tronchi e si elegge la più bella della festa. Le vezzose, oltre che in castigati bikini, sfilano anche con le camicie a scacchi da bovari.

Ben più a sud, tra gli acquitrini e le millenarie foreste pietrificate di kaori del Parco naturale della Rivière Bleue, la miss è invece di bianco vestita, porta una cresta quasi punk e quando canta è tutt’altro che un soprano. Anche il nome non è da mademoiselle: è il kagou. A battezzarla così sono stati i nativi riproducendo il verso che rende unico questo uccello che non vola, abbaia come un cane, si fa scorpacciate di lucertole e gechi e, soprattutto, rischia di estinguersi.

La Nuova Caledonia se l’è scelto come simbolo anche perché vive solo qui. Ma chi riesce a vederne uno in libertà si può dire fortunato.

viaggio-in-Nuova-Caledonia,-dalla-Grande-Terre-all'isola-dei-Pini---donna-all'isola-dei-Pini

Balene e barriere coralline

Eppure la natura di questo arcipelago  è tutt’altro che restia a farsi ammirare. Anzi. Appena al largo di Port Boisè le megattere, da luglio a settembre, si offrono sfacciate ai teleobiettivi come primedonne la sera del debutto, nelle acque intorno alle isole – la più grande barriera corallina al mondo dopo quella australiana – sono state censite 9.372 specie diverse e nei fondali, che rivelano che turchese è solo il nome di mille sfumature, i pesci si danno di pinna per farsi notare.

In compenso sono i turisti ad essere ancora una specie rara. Il risultato è che gli squali di barriera sonnecchiano sul fondo senza curarsi dei goffi impiccioni col boccaglio, le tartarughe regalano l’ebbrezza di un autostop nel blu con un guscio come cruscotto e i serpenti di mare sono uguali a sciarpe optical fatte all’uncinetto. I ragazzini di Ouvéa, una delle isola della Lealtà, se li lanciano dietro ridacchiando mentre sguazzano nell’acqua bassa. Non imitateli: sembrano bonari spaghettoni con una vistosa maglia a righe. Ma un morso vi regalerebbe brividi quasi fatali.

Viaggio-in-Nuova-Caledonia---festa-per-matrimonio-nella-zona-nord-di-Grande-terreViaggio in Nuova Caledonia: sabbia e matrimoni

Ma è una paura che passa subito. Anche perché stesi sulla infinita spiaggia di Ouvéa l’unica vera preoccupazione riguarda i matrimoni. Voi non sarete invitati. Ma tutti gli altri si. E, per questo, persino i due piccoli supermercati dell’isola potrebbero restare chiusi fino a data da destinarsi. E occorre aspettare.

La stessa precauzione per chi si incaponisce a pretendere una vita notturna: questo atollo lungo 25 chilometri e largo un battito di ciglia ospita un albergo di lusso con quindici stanze, qualche bungalow in legno coi piedi nell’acqua e una specie di campeggio. Ma dopo il tramonto scordatevi un bar. Mollemente seduti davanti al mare, con la solita birra gelata in mano, potrete però togliervi lo sfizio di sbeffeggiare lo sprovveduto Cook che ne se andò cercando una natura più affascinante altrove.

Un vagheggiamento inutile: a metà dell’isola il ponte di Mouli fa il nodo tra le due lingue di sabbia dell’atollo. Affacciati alla ringhiera, senza nessuna fatica, come se fosse una autostrada di squame e pinne potrete godervi il traffico sottostante: e provare a scoprire quale è l’ora di punta per le razze, le tartarughe o gli squali.

viaggio in Nuova Caledonia, dalla Grande Terre all'isola dei Pini

Guida della Nuova Caledonia: le buone maniere secondo la tribù

Serve invece concentrazione e impegno per tradurre l’espressione coutume: la sentirete ripetere di continuo. Alla fine farete si con la testa. Ma vi resterà il dubbio di non avere capito niente. E che sicuramente inanellerete clamorose gaffe nonostante cerchiate  consigli sulla guida, in questo caso inutile,  della Nuova Caledonia

Coutume qui vuol dire disciplina per la quotidiana convivenza, rispetto della parola data, consuetudini ancestrali di comportamento, stile di vita ma anche le regole ferree per lo scambio di doni – d’obbligo – se si va in visita ad un vicino. Se ci aggiungete che le leggi non sono scritte ma si trasmettono oralmente, che le chef della tribu decide su tutto, che le alleanze tra clan sono ondivaghe ai limiti dell’anarchia e che la gente delle isole parla ventotto lingue diverse capirete che la materia è vaga e complessa.

Non resta che rassegnarsi: fatevi un bagno nell’acqua più trasparente che avete mai visto e non pensateci più. In fondo, per noi foresti, basta sapere che qui la proprietà privata non esiste e che il self service della natura garantisce cibo gratuito per tutti. Mentre la brezza dell’aliseo Caillou rende superfluo persino il condizionatore. Cyrille Wénéguéi, il capo della tribu Fayaoé, ieratico, spiega che anche il frigorifero è inutile: “Si pesca un pesce al giorno. Domani ce ne sarà un altro pronto per farsi infilzare”.

Guida della Nuova Caledonia: aragosta e tradizione

Forse proprio lo stesso pesce che potrebbe insaporire il piatto simbolo del paese: la bougna. Per voi venire invitati a mangiarla nella capanna di qualcuno sarà un impagabile onore. Per chi si accinge a prepararvela una faticaccia. Uguale da secoli anche, se ovviamente, il ricettario non si sa chi mai l’abbia codificato.

Per prima cosa si scava una buca, poi si costruisce una pirofila di foglie di banano in cui si mescolano stravaganti tuberi viola o beige con banane, latte di cocco, gamberi, pesci o aragoste. Il tegame vegetale finisce quindi nella buca e sopra si accende il fuoco. Dopo ore di attesa, mentre la fiamma fa il suo lento lavoro, a voi monterà una fame feroce, l’ultimo ingrediente fondamentale per mandare giù con un sorriso questo spezzatino dal sapore insicuro. Ma non osate dirlo ad alta voce: a occhio e croce questa è sicuramente una imperdonabile violazione della coutume.

Per non passare per inguaribili cafoni rassegnatevi poi ad altre piccole cautele che tuttavia valgono per tutto il vostro viaggio : a Marè, gironzolando per l’isola, ricordatevi di chiedere il permesso allo chef del clan Si Hnathege prima di raggiungere il Salto del Guerriero, una vertiginosa faglia a strapiombo sull’acqua che si dibatte tra la roccia. La leggenda che battezza il luogo forse vi parrà confusa. Ma, al contrario, il mare è così limpido che, anche dall’alto, sembra proprio che basti allungare la mano per toccare il fondo.

Vagando poi nelle stradine che tagliano le boscaglia, rimbalzando tre le spiagge di Wabao e quella di Cengeité avrete quasi certamente la ventura di inciampare nelle chiassose celebrazioni di un matrimonio. Non siate timidi, buttatevi tra i familiari con l’abito della festa distribuendo vigorose strette di mano e calorosi saluti a tutti.

Taro e Igname: e tanti auguri

Ma soprattutto non mostratevi stupiti quando vedrete gli invitati omaggiare i trepidanti nubendi con contorti tuberi dall’aria dimessamente terrosa. Sono il taro e l’igname, i vegetali al centro della dieta e della mitologia locale. Oltre che dolcemente calorici rappresentano i simboli dell’elemento virile e materno. In altre parole: buon appetito. E figli maschi.

guida della Nuova Caledonia,

Sulla piroga come in Polinesia

Alla educazione dei pargoli tanto poi contribuirà la madre patria francese che, tra sussidi per le spesucce quotidiane e borse di studio stiracchiate fino alla laurea, cerca di tenere a bada le sempre più rancorose richieste di chi, e sono ogni giorno di più, vorrebbe rinunciare a una bella fettà di egalitè e fraternitè. In cambio di più libertè.

Ma in spiaggia, sotto l’ombra dei metafisici cilindri verdi dell’isola dei Pini questi argomenti paiono lontani e evanescenti. Come le nuvole che passano in distanza a regalare nuovi chiaroscuri di blu alla laguna dove, scivolano le piroghe a bilanciere. I kuniè, questo il nome dei kanak locali secondo la filologica guida della Nuova Caledonia, sono gli unici ad avere conservato questa reminescenza di Polinesia e vale la pena di salpare all’alba per farsi portare in giro su questi gusci infantilmente sghembi.

L’acqua nelle baie è calma come in una tinozza e il triangolo perfetto della vela candida evoca suggestioni impressioniste. Guardando le pirogue lasciare la scia tra le candide secche della baia di Saint Joseph non è difficile capire perché, ogni tanto in passato, un equipaggio di esploratori, sbarcando su queste isole, decidesse di ammutinarsi. E non partire più.

guida della Nuova Caledonia

Guida della Nuova Caledonia: un cuore nel mare

Un desiderio che, di nuovo oggi, ronza nella testa di chi si gode un tuffo nella piscina naturale della Baia d’Oro. Il nome è esagerato: ma per difetto. Il giallo è solo uno dei colori dei pesci che con sfrontatezza vi verranno a battere sul vetro della maschera. Forse si stanno interrogando su che cosa diavolo siate. Ma anche a loro servirebbe una lezione di coutume.

Alla fine però arriva sempre il momento di risalire sugli sgargianti Atr della Air Calin che fungono da alati torpedoni tra le fermate delle isole e il capolinea sulla Grande Terre. Il volo, per una volta, è una delle parti migliori del viaggio. E’ infatti solo dall’alto che si concedono completamente questi scampoli di sabbia e palme che, piatti come sono, paiono perennemente indecisi. Fra essere terra, e quindi puntare al cielo, o accucciarsi pigramente. Ritornando mare.

Un dubbio che sembra contagiare anche il simbolo romantico della Nuova Caledonia. E’ formato da quattro ettari di mangrovie nella laguna di Voh, ha la forma precisa di un cuore da innamorati da fotoromanzo ed è diventato una icona planetaria da quando un fotografo francese, Yann Arthus-Bertrand l’ha stampato sulla copertina del suo libro “La terra vista dal cielo”. Ora però, dicono gli abitanti, sta cambiando forma, le piante che, inconsapevolmente, nei secoli l’hanno creato stanno trasformandosi. Peccato: tutto cambia. E anche il cuore invecchia. Ma qui decisamente meno che altrove.