E’ il sito archeologico più grande al mondo. Qui si trovano alcuni tra i più splendidi monumenti arrivati sino a noi dall’antichità. E Pindaro, un poeta vissuto qualcosa come cinque secoli prima di Cristo, la definì “la più bella delle città mortali”. Non serve altro, neppure sfogliare la guida della Valle dei Templi in Sicilia: basta arrivare in questi luoghi, tra Agrigento e il mare, per avere garantito un batticuore. Che qui ogni pietra parla e racconta.  E come scrisse Guy de Maupassant questo luogo è “uno strano e divino museo d’architettura”.

Si perché Akragas, l’antico nome di Agrigento, è un luogo veramente straordinario. E se pensate che la meraviglia del Partenone ad Atene sia unica potreste arrivando qui capire che, estremo paradosso, i Greci hanno lasciato a noi in dote,  in Sicilia,  quello che neppure loro possiedono.

guida della Valle dei Templi

Guida della Valle dei Templi: una storia molto antica

La città fu fondata infatti nel 581 a.C. dai coloni arrivati qui da Gela ma che in realtà prevenivano dalle isole di Creta e Rodi. Scelsero questo posto perché quella che noi chiamiamo valle era, in realtà, un comodo altopiano, protetto da colli e con un paio di fiumi che fornirono le risorse per fondare la città. E iniziare a coltivare questa terra ancora oggi punteggiata da olivi secolari.

Terra fertile, il mare vicino, intraprendenza. Fu così che Akragas smise presto di essere una semplice colonia per diventare nel corso del tempo la principale potenza economica della Sicilia al punto che si calcola che arrivò ad avere qualcosa come 200mila abitanti. Per l’epoca una megalopoli.

Questo successo durò fino al 406 quando i Cartaginesi assediarono e saccheggiarono la città che dopo le solite scaramucce, guerre e alleanze finite male finì nel 260 a.C. per far parte del dominio dell’Urbe. I Romani, concreti come sempre, si tennero la città, ne fecero un importante centro economico ma non poterono bloccarne il lento declino. Otto secoli dopo gli abitanti se ne andarono, le ricchezza svanì. Ma per fortuna rimasero i templi.

Templi dorici arrivati sino a noi

Sono proprio loro le star: la guida della Valle dei Templi vi ricorderà che qui si trovano templi dorici, molti in eccellente stato di conservazione, ma anche ciò che resta di santuari, necropoli e persino un quartiere ellenistico romano. Che ancora oggi grazie agli scavi regala sorprese agli archeologi. Ma non solo agli addetti ai lavori: come si fa a restare indifferenti di fronte alla bellezza del Tempio di Giunone? In realtà il nome è frutto di un errore – a quale divinità fosse dedicato non lo sappiamo – ma poco conta.

Lo si incontra appena entrati nel Parco Archeologico sopra uno sperone roccioso. E sapendo che è stato innalzato nel V secolo a.C. e che ha resistito anche ad un incendio provocato dai cartaginesi colpisce per la sua imponenza. Spicca in alto su un basamento di quattro gradini, con tredici colonne sul lato lungo e si notano anche tracce di restauro romane. A raccontare quanta storia sia passata da queste parti.

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Il tempio della Concordia

Ma se la guida della Valle dei Templi vi suggerisce di soffermarvi davanti a questo colosso è di certo di fronte al Tempio della Concordia che resterete ammaliati: è insieme al Partenone il tempio dorico meglio conservato al mondo, è enorme, con 42 metri di lunghezza per 19,5 di larghezza, e fu costruito tra il 450 e il 400 a.C. Prende il nome da un’iscrizione latina trovata nei suoi dintorni ma anche questa, probabilmente, è stata interpretata erroneamente.

Ma poco conta: quello che vale è che è ancora quasi perfetto grazie alla sua doppia vita. Nel VI secolo dopo Cristo la struttura pagana venne trasformata in chiesa cristiana dedicata a Pietro e Paolo e questo lo preservò tanto che le pareti della cella sono state proprio costruite dopo questa consacrazione. Ma fu solo che nel 1748 il tempio tornò alle sue forme antiche, con la riapertura del colonnato e poco tempo dopo fu visto dal solito Goethe  che scrisse che “incarna la nostra idea di bello”. Secoli dopo possiamo solo dire che è proprio vero.

Le otto colonne di Ercole

Due simili capolavori meriterebbero, da soli,  il viaggio. Ma la guida della Valle dei Templi ha ancora parecchi capitoli. Proseguendo il cammino lungo il percorso del parco si arriva infatti al Tempio di Ercole, il più antico di quelli di Akragas e uno dei più grandi. Purtroppo la gran parte è andata distrutta. Il luogo sacro, dedicato a Ercole secondo quanto ha lasciato scritto Cicerone, doveva innalzarsi su un basamento a gradoni dove spuntavano quindici colonne sui lati lunghi.

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Ora ne restano in piedi solo otto innalzate negli anni ’20. Lo si deve alla volontà di un inglese, il capitano Alexander Hardcastle, che qui ebbe casa e si impegnò per riportare all’antica bellezza il parco archeologico.

Ma se volete specchiarvi veramente nella maestosità è necessario procedere e arrivare a ciò che resta del Tempio di Giove. Venne innalzato dagli abitanti di Agrigento per ringraziare il dio dopo una vittoria sui soliti nemici di Cartagine. E non badarono a spese per compiacere Zeus. Avrebbe dovuto essere infatti uno dei più grandi al mondo, piazzato su una alta piattaforma con una lunghezza i 113 metri e una larghezza di 56 metri.

Giove e i suoi giganti

Un po’ più di un campo da calcio. E per rendere il tutto più maestoso al posto delle solite colonne a reggere la struttura c’erano dei talamoni, ovvero dei giganti in pietra di quasi otto metri. Quando ne vedrete uno ricostruito nel Museo archeologico di Agrigento capirete cosa voglia dire pensare in grande. Purtroppo tanta magnificenza ebbe vita breve: non fu mai completato e l’invasione dei cartaginesi, stavolta vincitori,  ne bloccò la conclusione.

Il resto lo fecero i terremoti e la brama degli uomini: le scosse lo fecero crollare a partire dal Medioevo e nel 1800 divenne una cava di pietra da saccheggiare. Buona parte di Agrigento e Porto Empedocle sono stati innalzate sfruttando i suoi antichi blocchi squadrati.

Castore e Polluce: simbolo della città

Ormai abbiamo percorso chilometri: ma la nostra guida della Valle dei Templi ci spinge a proseguire. Oltre ai resti del Tempio di Giove ecco il Tempio di Castore e Polluce che è diventato un po’ il simbolo del Parco Archeologico e della città. Non era immenso come altri ma comunque si alzava su tre gradoni con 34 colonne che il tempo ha fatto crollare.

E terra e detriti lo hanno coperto per secoli. Ma poi, nel 1836, alcuni archeologi decisero di dargli nuova vita: i resti ammassati furono allontanati e quattro colonne rimesse in piedi a dare vita a quello che fu l’angolo del tempio antico. Intorno altri resti, tracce di antichi luoghi di culto e pozzi. E il fascino di un balzo nel tempo.

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Un giardino profumato

Un salto all’indietro che, oltre che dalle pietre dei templi, è dato dalla natura. L’ultima tappa della nostra visita infatti porta ad un giardino. Che una storia lega a doppi filo a quella dei suoi antichi abitanti.

A due passi dal Tempio dei Dioscuri ecco infatti il Giardino della Kolymbethra, un raro gioiello archeologico e agricolo citato come meraviglia già dallo storico Diodoro Siculo, nel I secolo a.C. Si tratta di una piccola valle che venne irrigata, per volontà del tiranno Terone, dando vita ad una specie di grande vivaio per i pesci che permise disviluppare intorno anche un parco pieno di agrumi, di mandorli e olivi secolari. Rimase così per secoli fino al recente passato quando fu di fatto abbandonato e solo con il Fai nel 2001 rivide la luce e riscoprì i suoi profumi.

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I rovi vennero tagliati, le piante secche rimesse a dimora, gli aranci potati. Oggi si passeggia in una specie di giardino dell’Eden siciliano calpestando i sentieri usati per secoli dai contadini tra i muretti a secco. Mentre da sottoterra sgorga ancora l’acqua portata dagli acquedotti antichi. Qui, in ogni stagione, ma soprattutto in estate, è bello cercare ombra e riposo e passeggiare senza meta. In fondo, ciò che resta del tempio di Vulcano e intorno profumo di zagara, cedri e bergamotti.

Pensare che ci troviamo dove camminavano gli antichi coloni arrivati dalla Grecia che combatterono con Cartagine emoziona. E ci fa capire che questa forse non solo la Valle dei Templi. Ma, anche, in qualche modo,  la valle del tempo.